lunedì 11 marzo 2013

25 eritrei bloccati per quasi tre mesi a Lampedusa

Il 22 febbraio siamo arrivati sull’isola. Nel paese si vedevano i pochi migranti che uscivano dal centro, in tutto 25 eritrei. Erano arrivati a Lampedusa il 15 dicembre 2012 con due imbarcazioni diverse. Parliamo con loro e ci raccontano che a dicembre il centro di Contrada Imbriacola era strapieno, c’erano più di 400 persone, che man mano poi sono state trasferite. 
Ci riferiscono che il cancello del centro di accoglienza è sempre chiuso ma che loro escono lo stesso "come i topi", senza che nessuno dica niente. Si lamentano della lunga attesa per il trasferimento e dell’assistenza medica nel centro che non funziona bene.
La ragione del mancato trasferimento di questo gruppo è nel loro rifiuto di farsi prendere le impronte digitali. Si sono feriti i polpastrelli perché hanno saputo dai loro connazionali arrivati prima, che non c'è speranza per loro in Italia. Per quanto sia un paese democratico, è comunque un paese in cui c’è poca tutela per i richiedenti asilo e i rifugiati, in cui è molto difficile trovare un lavoro e riuscire a sopravvivere. Pensano che se non danno le impronte, potranno andare in altri paesi europei dove hanno parenti e amici.
 Alla fine venti di loro cedono, ed essendo ricresciuta la pelle delle dita, si sottopongono ai rilievi. Ogni giorno chiedono di essere trasferiti in Sicilia, ma le forze dell’ordine rimandano a causa di problemi vari: i centri sono pieni, la nave non parte, ecc.  Gli chiediamo se hanno fatto la richiesta d’asilo,  ma non capiscono di cosa parliamo, non sanno nulla. Ci raccontano che hanno visto ogni tanto operatori dell'ACNUR, ma sembra che non tutti abbiano potuto parlare con loro. Perché nessuno dell’ACNUR, dell’OIM o di altre organizzazioni di Praesidium non sono mai intervenute per il trasferimento? La convenzione tra queste organizzazioni e il ministero dell'interno dovrebbe servire proprio ad evitare questo tipo di abusi. Quello di Lampedusa è un CSPA – un centro di soccorso e prima accoglienza-  non un centro adatto alla permanenza di mesi.
Il 5 marzo il gruppo di eritrei si è radunato davanti alla chiesa nel centro del paese per protestare contro il mancato trasferimento, avvolti nelle coperte a causa del freddo. Stavano lì senza cartelloni, senza slogan, e i lampedusani non capivano cosa volessero. Cinque di loro non hanno dato ancora le impronte e per questo le autorità hanno deciso di punire tutti: finché non daranno le impronte anche gli altri, nessuno verrà trasferito. La sera stessa viene convocata una riunione con il sindaco e le forze dell’ordine. La polizia alla fine decide il  trasferimento dei venti per il 7 marzo, sottolineando che non verranno trasferiti a causa della protesta. I cinque “ribelli” comunque devono restare.
Il 7 marzo i venti eritrei partono  per il CARA di Gradisca d’Isonzo. I cinque rimangono. Un giovane eritreo, il più giovane di tutti che afferma di essere minorenne, si agita, e viene portato al poliambulatorio e sedato.
L’8 marzo i colleghi austriaci di Borderline Sicilia/borderline-europe che si trovano ancora a Lampedusa, ci chiamano dalla nave e ci dicono che quattro eritrei si trovano a bordo, ma manca il quinto che si era sentito male.
Girano voci che il giovane sia stato portato con una motovedetta o dei Carabinieri o della Guardia Costiera in Sicilia. Ma nessuno sa niente di preciso. Dov’è finito il ragazzo che, come gli altri, cercava dopo una fuga ed un viaggio pericolosissimo, soltanto un posto dove ricominciare una vita normale?
Ancora non è chiaro perché i venti eritrei sono dovuti restare a Lampedusa anche dopo aver dato le impronte. Ci troviamo per l’ennesima volta di fronte a trattenimenti illegittimi, attraverso i quali viene limitata la libertà personale senza alcun provvedimento che lo consenta. Richiedenti asilo, a cui deve essere data protezione in base a norme nazionali ed internazionali,  che vengono trattati come criminali.
Tre mesi a Lampedusa tra lo sciopero dei pescatori e degli autotrasportatori che non hanno fatto attraccare le navi, ed il maltempo. Ma sono solo queste le ragioni del non trasferimento? Sicuramente no, perché ogni giorno partono diversi voli per Palermo e per Catania. È una decisione presa per non farli fuggire da un centro di accoglienza sulla terraferma senza essere stati identificati. E’ la trappola del regolamento Dublino, che imprigiona in Italia anche chi vorrebbe andare altrove. Tutti sanno che in Italia non ci sono speranze per i rifugiati, soprattutto dopo la fine dell’emergenza nordafrica e lo svuotamento di tanti centri che comporta la dispersione di tantissimi migranti alla ricerca di un tetto e di un lavoro per tutto il paese. Dopo un periodo “sicuro” in un centro di accoglienza saranno anche loro presto senza lavoro, senza casa e senza speranza. 

Judith Gleitze
Borderline Sicilia/borderline-europe