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giovedì 27 giugno 2013

Viaggio nelle strutture di accoglienza siciliane: il CSPA di Pozzallo

Di fronte all'incremento degli sbarchi sulle coste siracusane e ragusane, e ai trasferimenti a Pozzallo di migranti che arrivano sulle coste di Lampedusa, abbiamo avviato un osservatorio sulle strutture di trattenimento e accoglienza, per cercare di capire come funziona il sistema del post Emergenza Nord Africa.
Questa settimana ci siamo recati al CSPA di Pozzallo dentro l’area portuale, un hangar dove, a detta di alcuni ospiti che abbiamo incontrato lungo la strada che costeggia il porto, sarebbero al momento presenti circa 200-250 migranti di diversa nazionalità. 
Da 2 giorni agli ospiti, che prima venivano trattenuti nella struttura, è data la possibilità di allontanarsi. Un agente di Polizia in servizio al momento della nostra visita, ci dice che è permessa loro l’uscita a gruppi di massimo 50 persone al giorno senza obbligo di far ritorno in quanto richiedenti asilo "senza obbligo di dimora". 
Un gruppo di  giovani eritrei ci raccontano invece che è consentito di uscire solo a 40 persone al giorno e che in realtà questo diversivo è possibile solo 1 volta alla settimana per ciascuno di loro e per la durata massima di 5 ore.  I ragazzi, sorridenti, ci dicono che quello è "un giorno di festa" per loro.
Altri ospiti la pensano diversamente, e denunciano di sentirsi in prigione. 
Chiediamo loro se al momento dell’uscita dal centro dispongano di un tesserino o altro, ma ci rispondono che viene effettuata la conta serale al termine delle ore di uscita concesse. 
I migranti, incuranti del caldo e dei 2-3 chilometri di lontananza che li separa dal centro della città, camminano spaesati. Al loro polso notiamo un braccialetto che li identifica con un numero, quel numero che gli permetterà il rientro all’interno della struttura.
La gestione del CSPA è affidata ancora una volta, come ai tempi dell’Emergenza Nord Africa alla Protezione Civile. Dentro le strutture del centro, sono presenti diversi velivoli della Polizia e della Guardia di Finanza a presidio dell’ordine e della sicurezza pubblica, ma dalle prime ore del mattino fino alle 15,00 quasi nessun ospite si vede attorno al centro; solo un bambino fa capolino a volte, tra dentro e fuori.
Presenti dunque sia uomini che donne e bambini. Sette le docce per le donne, e sette per gli uomini. Ci dicono che il cibo non è male, che non ci sono mediatori culturali né un servizio di assistenza legale in pianta stabile.
Alcuni di loro ci riferiscono di essere nel centro di Pozzallo da più di 5 giorni  e, a detta loro, ci resteranno per tutto il mese. A questo punto non tornano i conti: un agente di Polizia appena un paio di ore prima ci aveva spiegato che in realtà tutti gli ospiti restano 2 notti, al massimo 3, prima di essere trasferiti presso altre strutture sul territorio italiano. 
Qualcuno di loro più preoccupato ci spiega di essere molto pensieroso sul proprio futuro. Ci racconta che diversi nel loro gruppo (tutti  eritrei), sono passati prima attraverso il Sudan per arrivare poi in Libia, dove sono stati trattenuti per circa 3 mesi nelle carceri disumane di un paese che stando al loro racconto- e a quelli che da anni ascoltiamo da numerosi altri migranti - non conosce il rispetto per i diritti umani. Loro sono stati fortunati , sono riusciti a ripagarsi la libertà a suon di denaro,  possibilità che per molte persone di altre nazionalità non  sussiste. Infatti una volta pagata la propria libertà hanno intrapreso la traversata che li ha portati prima via mare fino a Lampedusa, e poi a Pozzallo.
Molti di loro sanno che in Italia sono poche le possibilità di riuscire a trovare un lavoro regolare, rifarsi una vita e dimenticare in fine le vite da cui molti sono fuggiti, e sanno anche che una volta fermi in Italia dovranno aspettare tempi molto lunghi prima di passare l’esame in commissione e ottenere eventualmente lo status di rifugiato, e soprattutto sanno che il sogno di potersi spostare in un paese europeo che possa garantire loro un lavoro dignitoso e uno stile di vita consono alle loro aspettative, si infrange nel momento stesso in cui le loro impronte digitali vengono prese e registrate.  

Redazione Borderline Sicilia Onlus