martedì 16 luglio 2013

Borderline Sicilia visita il CARA di Mineo

Venerdì 12 luglio 2013 il parlamentare del gruppo SEL, Erasmo Palazzotto, si è recato presso il CARA di Mineo in delegazione con rappresentanti delle realtà locali che si occupano di immigrazione, per constatare le condizioni degli ospiti della struttura più grande d’Europa. La visita ha richiesto quasi 4 ore e mezzo.
Lungo la statale Catania-Gela il sole è fortissimo, le temperature molto alte. Quando arriviamo, una navetta popolata trasporta alcuni ospiti dal centro alla cittadina di Mineo. Molti altri ospiti si allontano a piedi per la stessa strada che conduce in paese: dovranno percorrere ben 11 km. Veniamo accolti dal direttore del centro Sebastiano Maccarrone che ci fa da cicerone all’interno del Villaggio della Solidarietà accompagnato da alcuni operatori e mediatori del centro.

Appena percorso il vialone di ingresso, ci troviamo di fronte al viale principale nel quale si trovano concentrati gli uffici amministrativi e di servizio: l’ufficio legale, il bazar, il punto “mamma”, l’edificio per la distribuzione dei pocket money, la mensa, il centro sanitario della Croce Rossa. In alcune zone del centro sono ancora ben visibili i danni conseguiti alle proteste inscenate dagli ospiti nel corso degli anni. Sei camionette della Polizia vi stazionano a garanzia dell’ordine pubblico.

Il nostro primo incontro avviene con i rappresentanti delle diverse comunità eletti da poco all’interno del CARA. Molti di loro sono un po’ spaesati, probabilmente non sanno neanche cosa siamo venuti a fare. Ci sorprende trovarceli tutti di fronte, pronti all’incontro.  Rimandiamo di qualche ora la consulta, consapevoli del fatto che saranno molti i temi dei quali discutere e le richieste dei migranti.

Su nostra richiesta, dunque, iniziamo con un giro per la struttura. Il direttore esordisce indicando delle cifre che ci confondono. Il CARA consta di 404 villette dove risiederebbero massimo 10 persone con 3 servizi igienici per villetta. Alcuni di noi vengono avvicinati da donne che ci portano dentro la loro abitazione e ci mostrano una stanza spoglia con materassi per terra sui quali dormono insieme ai loro bimbi. Nel corso della visita abbiamo modo di vedere altre abitazioni. Le condizioni igieniche ci appaiono precarie. Con riferimento ai materassi per terra, il direttore si premura di informarci che sono abitudini “culturali” dei migranti quelle di dormire per terra e che nelle abitazioni, per ragioni di privacy, gli operatori del centro non entrano. Anche la pulizia è demandata agli ospiti.  Alcuni migranti incontrati per i viali  si lamentano invece che non vengono comprate brandine o altro materiale per questioni economiche e che non tutte le villette dispongono di 3 servizi. 

Il nostro giro prosegue per gli uffici amministrativi. Veniamo condotti di fronte a una villetta dove sono situati tutti i maggiori servizi, sotto il nome di Info Point; all’ingresso un cartello con gli orari di apertura, in totale 5 le ore dedicate quotidianamente al servizio, esclusi i festivi. Al secondo piano dello stesso edificio veniamo condotti  in tre piccole stanzette. Una dedicata all’Ufficio Legale, mentre le altre due al servizio sociale ed a quello psicologico. Ancora una volta le cifre che ci vengono fornite non sono chiare: sul numero degli psicologi, le informazioni raccolte spaziano tra i 2 e i 6 addetti al servizio, mentre gli assistenti sociali sarebbero 5 e i mediatori una ventina ( di cui appena 10 madrelingua). In totale sarebbero circa 40 gli operatori generici  per oltre 3000 ospiti con diverse problematiche, alcune veramente gravi.

Sono molti i migranti che, giunti reduci dal loro viaggio in condizioni psicologiche precarie, dopo mesi e mesi di attesa nel centro senza risposte né certezze sul proprio futuro cadono in depressione o accusano altre patologie simili. Molti di questi troverebbero sollievo nell’alcool. Chiediamo agli operatori del centro se venga effettuato sugli ospiti un follow up dello stato psicologico, non solo all’ingresso ma anche in uscita. Ci rispondono genericamente che gli ospiti vengono seguiti sempre, non riuscendo a comprendere se l’ente gestore sia realmente cosciente degli effetti deleteri sugli ospiti dell’estenuante attesa e di quale sia il loro stato psicologico a causa della permanenza prolungata presso il CARA. Insieme all’onorevole Palazzotto ci informiamo se ci siano stati casi di suicidio o tentato suicidio,  se si siano mai verificati casi specifici di violenza di genere, di prostituzione  e se siano molte le donne sole ospiti presso il centro. La psicologa che risponde alle nostre domande ci conferma che qualche caso di tentato suicidio c’è stato, ma non  ci vengono forniti ulteriori dettagli. Continua dicendo che l’ente gestore non ha certezze su fatti di prostituzione ma che ci siano stati casi di sospetta prostituzione risulta anche a loro, così come la circostanza che alcune donne che risiedono al CARA sarebbero state dedite a tale attività, prima di risiedere nella struttura. Tale preoccupazione  viene sollecitata dalla conoscenza di voci di corridoio secondo le quali presso le strutture ospedaliere di Caltagirone si registra un numero non indifferente di interruzioni di gravidanza volontaria alle quali si sarebbero sottoposte alcune ospiti del centro.

La nostra visita prosegue verso la struttura che ospita il servizio mensa. Lungo il percorso ci ritroviamo alla nostra sinistra i locali destinati alla distribuzione dei pocket money. Ma non ci sono file come in altri tempi, e sembra che la struttura non sia in funzione. Non c’è alcun avviso esposto e né l’orario di apertura. Le informazioni che riceviamo circa il pocket money è che è passato dai 3,50 euro a persona dell’Emergenza Nord Africa ai 2,50 euro di oggi, somma che viene distribuita ogni due giorni sotto forma di un pacchetto di sigarette o una scheda telefonica da 5 euro.

Arriviamo in mensa. Il 9 luglio è iniziato il Ramadan e sono pochi gli ospiti presenti al pranzo. Sui tavoli abbiamo modo di osservare le pietanze che vengono servite. L’odore non è invitante e le espressioni di alcuni ospiti del centro ci confermano che il pasto non è gradito a molti. Alcuni di loro si esprimono in commenti non proprio lusinghieri, anche se a denti stretti. Infatti le lamentele più frequenti dei migranti ospiti presso il CARA riguardano proprio il servizio mensa. Qualcuno conferma che il cibo non sempre è di buona qualità, e da parte nostra sappiamo che molti gli ospiti hanno sofferto in passato di disturbi legati all’alimentazione; ancora qualcuno fuori dal centro ci dice che nonostante il Ramadan sia iniziato 4 giorni fa, è difficile conciliare gli orari della giornata di preghiera con gli orari della mensa. La responsabile del servizio mensa smentisce queste informazioni chiarendo che sono stati variati gli orari del servizio e che in funzione del Ramadan la mensa resta aperta fino alle 4 del mattino e che vengono distribuiti 5 pasti al giorno.

Il direttore ci informa che il servizio di catering è affidato ad un ente esterno e che quotidianamente vengono serviti 5000 pasti; rimane incomprensibile se questa cifra si riferisca sia il pranzo che alla cena. Veniamo a sapere che la richiesta di molti migranti di poter cucinare in proprio utilizzando un barbecue esterno alle abitazioni non può essere soddisfatta per motivi di sicurezza, ma allo stesso tempo ci viene detto chiaramente che in molti casi queste pratiche vengono tollerate. Rimane il dubbio in quali casi si applichi il principio della tolleranza e in quali altri invece la norma.

Quasi di fronte alla mensa si trova l’ufficio di orientamento al lavoro. Alle domande su che tipo di servizio venga offerto agli ospiti e che genere di formazione venga proposta, riceviamo la generica risposta che sono diversi i corsi di formazione seguiti dai circa 80 ospiti in meno di 3 anni: corsi esterni affidati agli Enti di Formazione Regionale. A tale opportunità hanno però accesso solo coloro che sono in possesso di un valido permesso di soggiorno, motivo per cui fra le richieste  che riceveremo dai rappresentanti delle comunità c’è proprio la possibilità di estendere queste attività anche ai migranti in attesa dei loro documenti. Alla domanda se ci siano dei corsi attivi al momento, segue un po’ di imbarazzo, perché a quanto pare il centro sarebbe in attesa di una “stabilizzazione”: infatti, dal 1° gennaio al 30 giugno 2013, a conclusione dell’Emergenza Nord Africa, la gestione è stata affidata, con un contratto temporaneo, ad un’ATI, un’Associazione Temporanea di Imprese alla quale aderiscono la Sisifo, il Sol Calatino, la Casa della solidarietà, Senis Hospes e la Cascina Global Service. Tra queste compaiono le stesse imprese che gestivano in precedenza il centro. Il contratto di gestione temporanea è scaduto alla fine di giugno 2013 e dunque al momento il CARA è gestito solo di fatto, in attesa di ulteriori sviluppi che potrebbero palesarsi - a detta del direttore Maccarrone - in una proroga dei termini!

A partire dall’aprile di quest’anno il numero degli ospiti ha superato le 3500 unità e non è mai rientrato al di sotto dei 2000 posti massimi previsti per l’accoglienza. Pertanto, i servizi offerti  e destinati ad un numero massimo di 1800 persone vengono in realtà redistribuiti su oltre 3500 presenze. Ci incuriosiscono inoltre i numeri relativi al pagamento delle spettanze corrisposti dall’ATI per l’affitto del “Villaggio della solidarietà” ad un privato, che a detta dal direttore del CARA equivarrebbe a circa 6 milioni di euro annui, mentre i costi delle utenze si aggirerebbero annualmente tra i 3 e i 4 milioni di euro, anche se possono lievitare fino ai 6 milioni. Il balletto delle cifre si fa ancora più confuso quando si arriva alla definizione della somma che l’ente gestore percepisce per ciascun ospite. Ci viene detto che, a fronte dei 40 euro percepiti durante l’Emergenza Nord Africa, oggi l’ente ne riceve solamente 34 che servono a coprire tutte le relative spese di gestione , l’equivalente di meno di 2 milioni di euro all’anno!

Proseguiamo verso il container nel quale si svolgerà l’incontro con i rappresentanti delle comunità. Strada facendo notiamo ancora diverse abitazioni, almeno 5, che espongono un cartello relativo alla disponibilità di un servizio Internet, e più in là notiamo un’altra casetta dalla quale vengono esposti pacchetti di sigarette, come se fossero in vendita. Chiediamo allora se gli ospiti all’interno del centro gestiscono attività commerciali. Se da una parte ci viene risposto di sì, che permettere loro di allestire un bazar risponde all’intenzione di non far perdere a molti ospiti la loro identità di commercianti, al tempo stesso veniamo informati che gli operatori del centro non sono a conoscenza di attività di vendita vera e propria.
Quasi giunti al termine del nostro tour, nell’attraversare l’ultimo viale di villette, notiamo la presenza degli uffici di FRONTEX dei quali nessuno di noi era a conoscenza. Di fronte insistono 3 container a quanto sembra in uso come struttura di supporto temporaneo alle procedure di ammissione e  collocamento dei nuovi ospiti che si attendono numerosissimi in arrivo quest’estate.

All’interno di uno di questi tre container ci attendono i rappresentati delle comunità. Il clima inizialmente sembra festoso, ma basta poco per rendersi conto che tra gli ospiti, gli operatori e i responsabili del centro in realtà si cela una tensione non indifferente. 
Sono diverse le problematiche che i rappresentanti della comunità vogliono portare all’ascolto del parlamentare. Al primo posto si pone l’insopportabile attesa del rilascio dei documenti e le lungaggini dell’ unica Commissione che gestisce le pratiche dei richiedenti asilo ospiti nel CARA. Lamentano una media di 11-12 mesi per ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria riservata a coloro che sono transitati dalla Libia durante l’Emergenza Nord Africa: in media 7 mesi per la prima audizione in Commissione, 1 mese per ricevere la decisione della Commissione, 2 mesi per la notifica da parte della Questura e un paio di giorni per il mandato della banca al ritiro del bonus.  Ma non sempre questi tempi vengono rispettati. Il numero delle audizioni rispetto ai tempi dell’Emergenza Nord Africa - quando era attiva anche una sotto commissione – è diminuito, con una media di 30 casi esaminati a settimana. Ci viene inoltre riferito di ospiti presenti nel CARA da lunghissimo tempo, i cd. “casi Dublino”, per i quali le procedure di riconoscimento della protezione non è neanche iniziata dopo 10-12 mesi.

Un ospite del centro lamenta che siano solo 2 gli operatori in servizio presso lo Sportello Immigrazione presente all’interno della struttura d’accoglienza. Segue un botta e risposta immediato - e ai nostri occhi alquanto irruento - tra questo migrante e un responsabile del centro, il quale si premura a smentire l’informazione, affermando che gli operatori di sportello sarebbero 7. Emerge per l’ennesima volta una gran confusione di cifre.

Sul piano sanitario, i rappresentanti degli ospiti lamentano ritardi negli interventi da parte della Croce Rossa a causa dell’insufficiente organico, nonché l’assenza  di un servizio di mediazione interculturale presso le strutture ospedaliere del calatino.

A questo punto gli animi si scaldano, tutti vogliono parlare ma il tempo è limitato; sono molteplici le criticità messe in luce dalle rappresentanti dei migranti, e la tensione ai nostri occhi appare evidente, così come si palesa la circostanza che all’interno di una struttura come questa non possa mai respirarsi un clima sereno. L’ultimo a prendere la parola è un ragazzo , ai nostri occhi molto coraggioso, che denuncia l’arresto di un connazionale avvenuto la sera prima. Nella confusione e nell’accavallarsi di voci, riusciamo a captare solo alcuni elementi. Sembrerebbe che durante un litigio acceso tra il giovane, appena ventenne, e la moglie, sarebbero intervenute le Forze dell’Ordine che avrebbero in seguito tradotto il giovane presso la casa circondariale di Caltagirone. Così come ai tempi dell’ultima rivolta, avvenuta presso il CARA circa un mese fa,  a seguito dell’arresto di un cittadino del Mali, sarebbe alta la tensione dei migranti che chiedono la scarcerazione del giovane fermato la notte prima, in quanto non sarebbe stato autore di alcun reato. Tra questi ci sarebbe la moglie, incinta, del giovane arrestato il giorno prima. Dalla seppur animata discussione è emersa l’idea che alcuni migranti avrebbero delle Forze dell’ordine di stanza al CARA, certi che questi avvenimenti non siano altro che il frutto di atteggiamenti razzisti delle forze di sicurezza nei confronti degli ospiti centro africani.

I migranti presenti all’incontro pretendono risposte certe sulla possibilità di uscire dal CARA per essere inseriti in strutture SPRAR sul territorio nazionale. C’é tanta confusione e disinformazione. Molti non comprendono perché ad alcuni sarebbe destinato un bonus di buonuscita di soli 500 euro quando, ci raccontano, girano voci che al centro alcuni ospiti avrebbero percepito fino a 2000 euro per la stessa ragione. Noi, in visita ispettiva, ci ritroviamo a dover fornire informazioni e spiegare loro il funzionamento del sistema SPRAR, nonché a fugare i dubbi sull’esistenza di trattamenti diversi riservati ad alcuni ospiti da parte delle istituzioni.

A conclusione dell’incontro e dell’intera visita presso il CARA, un dato certo è che non esiste un valido servizio informativo per gli ospiti. Un servizio che, oltre che doveroso, sarebbe anche utile a mantenere un clima più disteso in un centro così grande, ed a evitare le continue proteste generate dell’esasperazione data dalla mancanza di certezze.
La nostra visita termina alle 15 del pomeriggio, sotto il sole cocente della piana di Catania. 

L’impressione che ci accompagna è ancora una volta legata all’immagine di una struttura inadatta per dimensione  e tipologia di intervento, legato ad una visione del fenomeno migratorio che privilegia l’aspetto economico a scapito della vita e dei diritti degli ospiti. Ce ne andiamo con gli stessi interrogativi di sempre: aldilà di chi sia preposto alla gestione, davvero una struttura così grande, un Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di  queste dimensioni, può mai costituire la risposta più adeguata alle esigenze dei migranti che arrivano in Italia?  Tutto questo a conferma di quanto emerge sul sistema italiano dal Report annuale EASO (pubblicato il 12 luglio su http://easo.europa.eu/wp-content/uploads/EASO-Annual-Report-Final.pdf) concernente i dati del sistema di protezione richiedenti  asilo nei territori dell’Unione europea.


La redazione di Borderline Sicilia Onlus