lunedì 14 luglio 2014

«Emergenza Africa» o shock economy alla siciliana?

da Terrelibere
di Antonello Mangano
In tutta la Sicilia sono sempre più numerosi i CAS – Centri di Accoglienza Straordinaria – nati per affrontare la consueta emergenza. Per ospitare i migranti e ottenere 30 euro al giorno è bastato compilare un modulo. I controlli al momento sono inesistenti. Da Trapani a Gela, da Caltanissetta a Ragusa uno scandalo costruito con cura.


                    Gela, la sede della protezione civile con il materasso – finestra. Fotografia di Giovanna Vaccaro

TRAPANI -  «Il problema vero è la commissione d’esame. È sempre una e in otto mesi l’accoglienza si è moltiplicata per dieci. Ci sono tempi lunghissimi, si arriva un anno e mezzo. Un tempo accettabile sarebbe sei mesi. Le tensioni che ci sono sono dovute esclusivamente ai tempi d’attesa». Così il prefetto di Trapani Leopoldo Falco spiega il cuore del problema. L’emergenza non nasce dal numero di arrivi, ma dalla disorganizzazione.
La mafia vuole entrare nel business accoglienza
Quando arrivano centinaia di migranti sul molo, i “Centri di Accoglienza Straordinari” (CAS) vengono aperti il giorno stesso. Con affidamento diretto. Un anno fa il prefetto Falco è arrivato a Trapani: c’erano 260 posti disponibili. Oggi sono 2400. Ognuno di loro rende 30 euro a persona, 1.980.000 euro al mese. Una cifra che non passa inosservata nella terra di Matteo Messina Denaro.
«Da noi i prezzi sono bassi e c’è la possibilità di un forte rientro economico», spiega il Prefetto. «Il passaparola ha fatto più di ogni mia esortazione. Ho ancora tante domande in coda. Mentre i privati erano prudenti, soggetti criminali hanno fiutato l’affare. Si sono presentati». Con grandi numeri il business è notevole. Imprenditori sotto indagine hanno preso in affitto grandi strutture e si sono presentati garantendo centri da 500 posti. «Il gestore è sempre una persona pulita, il titolare della struttura va attenzionato», continua Falco. «Abbiamo individuato questo interesse e l’abbiamo respinto».
Fette biscottate
«La prima colazione sarà composta da quattro (4) fette biscottate o in alternativa biscotti monoporzioni da 80 grammi». La Prefettura di Palermo indica i più minuti dettagli delle forniture dovute nei CAS. Centri che possono essere aperti con una semplice domanda. In carta semplice. L’isola ormai è piena: alberghi ma anche semplici appartamenti.
Quattro fette biscottate e biscotti da 80 grammi. Indicazioni minuziose e nessun controllo
Basta un modulo da inviare in Prefettura. Chi vuole può esercitare «l’attività di prima accoglienza di migranti provenienti da sbarchi». Che poi sono quasi sempre soccorsi in mare. Si ripete quindi l’esperienza dell’“emergenza Nord Africa” del 2011, nota per sprechi e abusi. Questa volta non c’è neppure l’intermediazione della Protezione Civile. Al maniacale dettaglio dei precetti di Prefettura sui pasti si contrappone un controllo generico: «L’Amministrazione svolge attività di monitoraggio sulla gestione della struttura». Da luglio, come ad ammettere il proprio errore, il Ministero ha cambiato le regole. Niente più affidamenti lampo e via alle gare.
Le prefetture prevedono decine di servizi. Ma in molti centri c’è appena un “inserviente”
Le circolari prevedono ottimisticamente assistenza sanitaria, barberia, lavanderia, pulizia giornaliera dei locali ed erogazione di tre pasti al giorno. E ancora mediazione linguistica e culturale; sostegno socio-psicologico; informazione sulle norme in materia di immigrazione. Ma chi controlla? Il “gestore” è tenuto a presentare le fatture alla Prefettura. Su 30 euro, solo 2,50 vanno ai migranti. Ma in forma di pocket money che possono essere spesi solo in esercizi convenzionati.
La miseria italiana
Nella migliore delle ipotesi, anche con servizi ottimali, i CAS non saranno un percorso d’integrazione ma l’ennesimo limbo dove attendere la risposta alla richiesta d’asilo. Anche un anno e mezzo per un foglio di carta che deciderà il tuo destino. Ma i migranti non sono gli unici ad essere assistiti. Alla loro temporanea miseria, corrisponde quella strutturale degli italiani.
I posti di lavoro nelle trenta strutture di Trapani  sono alcune centinaia. Tanti in un territorio malato di disoccupazione. C’è stato anche un caso di un candidato alle ultime europee che si vantava di poter favorire le assunzioni. Il voto in cambio di un lavoro ultraprecario per assistere chi è scappato dalla guerra e dalla fame, spesso senza nessuna preparazione.
Per ottimizzare i costi le cooperative si organizzano in consorzi. Le forme contrattuali sono le più varie. Una giungla che va dal contratto nazionale fino al “volontariato”. Eufemismo per straordinario non retribuito. C’è chi denuncia ricatti, umiliazioni e stipendi che non arrivano a 400 euro. Tutti vogliono restare anonimi. «Non fare il mio nome, altrimenti non lavoro più da nessuna parte».
I migranti salvano i dipendenti regionali
Si chiamano Ipab. Sono enti pubblici assistenziali in crisi ormai da tempo. Non riescono a pagare gli stipendi. Qualcuno è costretto a dismettere i suoi immobili. Sono rinati ospitando chi scappa dalle guerre africane. Prendiamo per esempio la struttura di San Cataldo, provincia di Caltanissetta. Era in crisi da cinque anni. A un passo dalla chiusura. «Il nostro obiettivo è stato raggiunto», diceva a marzo Licia Donatella Messina, commissario straordinario del Comune. «Siamo riusciti, con la riapertura, a dare dignità del lavoro ai dipendenti»
I lavoratori italiani denunciano stipendi da fame. Ma vogliono restare anonimi
L’associazione Borderline Sicilia sta svolgendo da mesi un monitoraggio sui CAS. «All’Ipab di Marsala, nel pomeriggio, non abbiamo trovato nessuno», racconta il volontario Alberto Biondo. Eppure la presenza di operatori e mediatori culturali a tempo pieno è indispensabile per aprirne uno. Solo la mattina (e solo da lunedì al venerdì) si può trovare qualcuno. Come fosse un normale ufficio pubblico. Si tratta in realtà di una casa di riposo già in dismissione. A marzo gli immobili erano all’asta ma la vendita è andata a vuoto. Poi il “salvataggio” grazie ai cento profughi ospitati dove una volta c’erano gli  anziani.
L’ernia era visibile a occhio nudo. Ma nessuno l’ha curata
A Castelvetrano, la protesta è nata per la mancanza di luce e di acqua. A Gela, alla fine dello scorso anno, è stato creato un centro di emergenza. Serviva a dare un tetto decente ai richiedenti asilo che vivevano in condizioni disumane, accampati ai margini del centro governativo di Caltanissetta. Invece i volontari di “Medici Senza Frontiere” hanno trovato materassi che venivano usati per coprire le finestre rotte.  Nessuna distribuzione di vestiti o assistenza medica. Un ragazzo nigeriano aveva un’ernia, curata solo dopo il loro intervento. «Era talmente grande da essere visibile anche attraverso i vestiti», raccontano. Il gestore era un’associazione legata alla locale Protezione civile. Il centro è stato chiuso poco dopo.

 
                                                          Ragusa, ex discoteca "La Tropicana". Fotografia di Elio Tozzi
Alle porte di Ragusa in cento erano costretti a vivere in una ex discoteca abbandonata. Si chiamava “La Tropicana”, nella zona industriale. Nessun servizio di assistenza. «Sembra un deposito lontano dalla città e da occhi indiscreti», racconta Elio Tozzi che questo luogo improvvisato ha visitato più volte:«Non è chiaro neppure lo status giuridico del centro. L’unico operatore sul posto si è qualificato come ‘inserviente’. Senza specificare meglio. Ho chiesto della gestione. Mi ha risposto che è fase di formazione. Gli operatori? Sono ‘un bel po’’. Il titolare? Se ripassate nel pomeriggio forse lo trovate…».
Anche il centro “La Tropicana”, palesemente inadeguato, è stato chiuso.
Se non ci fossero…
Se i migranti non ci fossero, la Sicilia dovrebbe inventarli. Intorno all’ennesima “emergenza” annuale, rinasce il sistema tradizionale di distribuzione delle risorse. E i soggetti sono quelli che ti aspetti. Dalla criminalità ai politici in cerca di voti, dai disoccupati ai carrozzoni pubblici a un passo dalla chiusura.