sabato 30 agosto 2014

Nuova visita al CAS di Marsala: decine di giovani per mesi nel limbo

Tornati all'Hotel Acos di Marsala  per avere possibilità di approfondire alcuni aspetti, incontriamo una decina di ospiti appostati vicino ad una piccola aiuola laterale della stazione di servizio in cui sorge l’albergo convertito in CAS e gestito dalla cooperativa "Vivere con" di Mazara del Vallo.

Gli ospiti del Centro di Accoglienza Straordinario con cui inizio a parlare, nel ribadire il loro malcontento e nel tentativo di far presente la noncuranza con cui viene gestita la loro ospitalità, ci parlano anche della presenza di ben 15 minori all’interno della struttura. Riesco ad incontrarne solo 8, tutti evidentemente molto giovani, i quali mi dicono di aver più volte riferito la loro età sia alle Forze dell'ordine che agli operatori del centro senza che nulla accadesse.
A questo punto, dopo essermi presentata nuovamente a tutto coloro che si sono avvicinati incuriositi dalla mia presenza ( divenuti ormai circa una trentina) chiedo informazioni sulla formalizzazione di una eventuale richiesta di asilo, constatando che nessuno dei presenti sa di cosa parlo quando faccio riferimento al modello C3. Riguardo all’ottenimento di documenti, l’unica cosa che lamentano è di aver dovuto pagare di tasca loro i 5 euro delle fototessere che sarebbero servito per la preparazione del passaporto. Mi sorprendo quando li sento parlare di passaporto e mi spiegano che questo è quanto gli hanno detto gli operatori. Questa convinzione gravemente fuorviante perché porterebbe gli interessati a credere di poter disporre di un documento fondamentale al compimento delle procedure burocratiche, a prescindere dal riconoscimento di una forma di protezione internazionale, rende evidente la palese mancanza di un servizio di consulenza legale.
Poiché nessuno degli ospiti con cui parlo sembra in grado di comunicare neppure le cose più basilari in italiano chiedo se stiano frequentando un corso, tutti fanno intendere di non darvi troppo importanza e in particolare uno di loro mi dice: “il corso c’è, ma quando hai la testa piena di problema e vivi in un posto da cui vorresti solo scappare non riesci a concentrarti in niente”. Mi dicono che c’è anche un'assistente sociale con la quale però hanno avuto un solo incontrato dal loro arrivo (che risale a diversi mesi fa) e con la quale sarebbe difficile avere un colloquio anche quando si troproblema deiva in ufficio.
Rispetto al rapporto con gli operatori che lavorano nel centro, tutti loro mi parlano nuovamente della minaccia di "deportation" che verrebbe rivolta loro, ogni volta che fanno presente al personale dei problemi o reclamano dei diritti.
Appare poco chiara la questione pocket money, infatti, oltre al problema dei ritardi che ci avevano precedentemente riferito, non riusciamo a comprendere bene quale sia l’ammontare e neppure la modalità di elargizione. Infatti, se la convenzione con la prefettura di Trapani prevederebbeun pocket money di 5 euro, stando a quanto riferito dagli ospiti questi in realtà percepirebbero intorno a 2,50 euro giornalieri. Ma, ancora,  la sezione del sito web della cooperativa/gestore dedicata alla descrizioni dei servizi forniti fa solo menzione ad una  scheda telefonica di 5 euro ogni 10 giorni e ad un pacchetto di sigarette da 10 ogni due giorni.
Dopo più di un'ora di conversazione con gli ospiti provo ad entrare nella struttura. Gli spazi dell’ingresso si presentano sufficientemente decorosi e puliti, la reception è verosimilmente usata come postazione per gli operatori , mentre nella hall è presente un divano e una televisione dove alcuni ragazzi stanno guardando la televisione.
Dopo qualche minuto arriva un operatore che mi fa subito presente il divieto di mostrarci la struttura senza un’autorizzazione e quando provo a fargli qualche domanda molto gentilmente telefona al presidente della cooperativa per farmi parlare direttamente con lui.
Il rappresentante legale di “Vivere con”, premettendo anch’egli  che per visitare la struttura ed avere un incontro è necessaria un’autorizzazione ministeriale, si mostra comunque molto disponibile al dialogo e accenna delle risposte a tutte le domande sugli aspetti più preminenti che gli sottopongo. Per quanto concerne la presenza di persone di minore età assicura che a tutti i sedicenti minori è stato fatto l’esame radiografico da cui sono risultati tutti di maggiore età; non entra però nei dettagli relativi alle tempistiche, modalità, persone di riferimento per le notifiche, chiarendo che durante il periodo di accertamento della loro età, i sedicenti minori sono rimasti all’interno del loro centro.
In riferimento alle procedure di richiesta d’asilo, anche lui ammette il grande ritardo e ci chiede di aiutarlo a far pressione sul commissariato di polizia di Marsala che lui, in prima persona, solleciterebbe di continuo, senza avere riscontro.
Prima di lasciare il centro ci tengo a scambiare qualche parola anche con l'operatore presente il quale mi dice che gli ospiti insistono tanto per essere trasferiti solo perché hanno appreso attraverso il tamtam con connazionali che in altri centri è possibile avere i documenti in tempi brevi, e non perché si trovino male all’interno della struttura.
A questo punto gli chiedo come mai tutti i ragazzi con cui ho parlato abbiano parlato di minacce di “deportation” da parte degli operatori. Non mi risponde niente, si limita a guardarmi. Colgo dunque l’occasione per invitarlo ad informare della gravità di tale minaccia quei colleghi che vi ricorrono, mentre ad informare gli ospiti rispetto alle loro infondatezze ci ho già pensato io. Lui continua a guardarmi ma, ancora una volta, non sembra avere niente da dire.
Lo ringrazio per la sua disponibilità ed esco dal centro. Anche questa volta le voci della gestione e dei beneficiari sono totalmente discordanti su molti aspetti. Intanto i ragazzi con cui ho parlato sono ancora tutti lì, sull’asfalto accanto all’aiuola della stazione di servizio, in cui passano gran parte delle loro interminabili giornate.

Giovanna Vaccaro

Borderline Sicilia Onlus