lunedì 9 marzo 2015

Il tempo dei diritti. Altri arrivi e altri morti in mare.

Almeno 10 morti e più di una trentina di dispersi in mare. Nei giorni scorsi con il lieve e breve miglioramento delle condizioni meteo, è arrivato l’ennesimo e tristemente prevedibile annuncio della morte di altri migranti. (vedi GdS)

Le operazioni di salvataggio, coordinate dalla guardia Costiera ed avvenute lo scorso 4 marzo a circa 50miglia dalle coste libiche, hanno soccorso circa mille persone che viaggiavano su gommoni e barconi, nel giro di soli tre giorni, per approdare poi nei porti di Augusta, Pozzallo e Porto Empedocle, con gli ultimi 94 migranti tratti in salvo lasciati temporaneamente a Lampedusa. (vedi ANSA).

Dalle coste della Sicilia Orientale diventano più veloci alcuni trasferimenti, con i centri di prima accoglienza praticamente già al collasso, verso alcune città del Nord Italia. Ma non a tutti tocca questa “fortuna”, dato che la maggior parte dei profughi appena arrivati viene alloggiata all’Umberto I di Siracusa, al Pala Nebiolo di Messina ed al CPSA di Pozzallo, strutture già oltre il massimo della loro capienza, dove i migranti vedranno i prossimi giorni segnati dalle file e dagli interminabili tempi d’attesa per le prime operazioni di identificazione e i futuri spostamenti. 
Dinanzi a tutto ciò, politici e rappresentanti istituzionali a vario titolo, reagiscono con sterili e ormai note polemiche sulla difficoltà di gestione del fenomeno da parte del governo italiano, a detta dei più abbandonato dall’Europa, e anticipando la discussione dell’Agenda Europea sulla migrazioni al mese di maggio. Tra chi poi avanza e sostiene proposte più drastiche in materia di controllo dei confini, come il blocco del traffico navale dalla Libia (vedi Huffingtonpost)  c’ è una minoranza isolata ma tenace che continua a spingere per una radicale riorganizzazione delle politiche europee ed italiane in materia di immigrazione e l’urgenza dell’apertura di canali umanitari, sottolineando ciò che, in modo spaventosamente preoccupante, in molti sembrano non considerare: le continue stragi in mare devono essere bloccate immediatamente. Chi rischia la morte può forse aspettare?
I tempi delle leggi e dei soccorsi non rispondono in modo adeguato alle esigenze: ritardi nelle operazioni di salvataggio, che si stanno traducendo troppo spesso in tragedie; i tempi dell’accoglienza, che invocano l’emergenza per giustificare situazioni al limite della sopportabilità; i tempi delle procedure amministrative e burocratiche, che imprigionano i profughi in un limbo per mesi e anni senza nessun poter di decisione o progettazione del loro futuro. Tutto questo avviene ancora una volta nel silenzio più assoluto, che si crea anche quando il frastuono mediatico diventa fuorviante rispetto alle questioni centrali, con continui dibattiti sui botta e risposta dei soggetti istituzionali, che lasciano sullo sfondo chi ormai ha solo il proprio corpo per far capire quanto sia disperata la sua situazione.
Chi lavora a stretto contatto con i migranti, sottolinea infatti le condizioni sempre più critiche dei sopravvissuti che riescono ad arrivare  (vedi Corriere di Ragusa) , in un momento in cui la situazione libica non può davvero più essere ricordata solo a tratti  o strumentalizzata per giustificare interventi armati.
La nostra indifferenza ha avuto gioco facile nei confronti di chi non ha voce, sarà lo stesso anche di fronte ai cadaveri, sempre più numerosi, o ai corpi straziati di chi arriva per mare? Decisamente no. Ora l’unica speranza rimane quella di un tempo per i diritti.

Lucia Borghi
Borderline Sicilia Onlus