mercoledì 29 luglio 2015

Caltanissetta: a villa Amedeo per incontrare gli ospiti del CAS di via Niscemi

Prosegue il nostro monitoraggio all’esterno dei centri di accoglienza della provincia di Caltanissetta. La scelta del monitoraggio esterno dei centri è conseguenza diretta dell’autorizzazione prefettizia contenente condizioni per noi inaccettabili perchè in contrasto con le stesse finalità di tutela dei diritti dei richiedenti asilo che si pone la nostra associazione. 
Così, la scorsa settimana,  ho incontrato gli ospiti del centro di accoglienza straordinaria sito in via Niscemi, al parco cittadino “Villa Amedeo”.
Avevamo visitato il centro in questione l’anno scorso riscontrando una situazione piuttosto critica.  Ne avevamo parlato nuovamente dopo una protesta accesa degli ospiti nel gennaio scorso  


Il CAS di via Niscemi è attivo dall’aprile 2014 all’interno  di un edificio di proprietà del Ministero delle telecomunicazioni, dato in concessione per adibirlo all’accoglienza. Da allora è gestito dalla cooperativa “Vivere Insieme” (la stessa che gestisce il CAS allestito entro la grande struttura ex IPAB di San Cataldo) che ha inizialmente operato con affidamento diretto della Prefettura e poi,  vincendo dei bandi di gara, in cui si era costituita in ATI con tutti gli altri enti gestori di CAS in provincia.
Erano più di una ventina i richiedenti asilo, ospiti di questo centro, presenti all’incontro ed hanno iniziato immediatamente ad elencare le maggiori criticità che vivono quotidianamente.
Innanzitutto mi hanno mostrato alcuni dentifrici che a loro avviso erano scaduti. Alcuni di essi in realtà non recavano la data di scadenza, ma nell’unico in cui era riportata, essa risaliva al lontano 2006. 


Il secondo aspetto di cui mi volevano parlare era relativo al cibo servito, descritto  come scadente e insufficiente. In particolare dicevano che la mattina viene distribuito del latte annacquato ed a volte capita che anche quello sia scaduto. Descrivono il pane “ like stone” (come pietra).  
Hanno fatto svariati tentativi perché fosse servito loro del cibo mangiabile, alcuni di questi si sono tradotti in vere e proprie proteste fuori dal centro, ma è stato tutto inutile. Ad oggi, quando ancora tentano di chiedere al responsabile di provvedere affinchè le cose cambino, la risposta che ricevono è che chi non è contento del cibo può lasciare il centro, visto che ci sono centinaia di richiedenti asilo in attesa di ricevere accoglienza. 
Questa modalità “intimidatoria”, adottata per rispondere alle lamentele, pare essere una prassi consolidata all’interno di questo centro (come in tanti altri). Questo genere di risposte a cui il responsabile, a detta degli ospiti, ricorrerebbe ogni qual volta che viene fatta presente qualche problematica, divengono vere e proprie minacce quando costui chiede nome e cognome di chi solleva critiche e rivendicazioni e, appuntandosi i nomi, fa dedurre che ne deriveranno conseguenze negative in sede di Commissione Territoriale, oppure che ne conseguirà un prolungamento dell’attesa dell’audizione, o ancora che verranno presi provvedimenti per l’allontanamento dal centro, sempre e comunque con conseguenti ripercussioni negative sulla decisione della Commissione.
“Se fai problemi ti facciamo aspettare di più per la commissione”, oppure, “Vado da chi ti farà la Commissione e ti faccio diniegare”. Queste, come ci raccontano, sono alcune delle risposte che riceverebbero gli ospiti a ad ogni loro richiesta.
Ecco che ancora una volta assistiamo ad un modus operandi di gestori che per mantenere il controllo del centro, ricorrono alla spicciola psicologia del terrore, operando nella piena discrezionalità, senza dover rendere conto a nessuno. Del resto il  Governo italiano, nonostante poggi ormai la quasi totalità della prima accoglienza sui centri straordinari, non si è ancora dotato di un organo di controllo sistematico e puntuale sulla loro gestione. E, se viene delegato alle Prefettura  il compito di promuovere bandi per l’accoglienza, continua a non esserci alcun tipo di obbligo ad un controllo significativo sulla gestione di questo tipo di centri, attivati ovunque e da chiunque.
Qui entra in gioco un’altra peculiarità dei centri di accoglienza straordinaria: una rendicontazione economica con molti margini di discrezionalità. Viene da sè che i gestori di questi, trattandosi principalmente di imprenditori alberghieri , gestori di BB e cooperative costituitesi ad hoc per entrare nel business dell’accoglienza, operino in ragione del maggior profitto, tagliando il più possibile i servizi e i beni previsti dal capitolato d’appalto, senza incorrere in nessun tipo di conseguenza poichè non è previsto per loro alcun obbligo di mostrare come siano spesi i soldi erogati dal governo e quali i servizi effettivamente garantiti.
E così, vediamo che non è solo offrendo cibo scarso e carente che diminuisce la spesa ed aumenta il guadagno. Si può infatti tagliare anche sul guardaroba di base che dovrebbe essere distribuito agli ospiti ad ogni cambio stagione. Neanche in questo centro sono mai stati distribuiti indumenti. Gli ospiti mi riferiscono che di recente  40 di loro ( su 65 ospiti presenti nel centro), dopo quasi sei mesi di permanenza nel centro,  hanno finalmente ricevuto solo delle scarpe.
Sempre a proposito di beni di consumo primari, gli ospiti mi raccontano di avere l’acqua potabile solo un’ora al giorno, l’unico momento della giornata in cui viene montato sul rubinetto principale un filtro per la depurazione dell’acqua, che viene nuovamente rimosso scaduta l’ora.
Chiaramente i tagli maggiori sono rappresentati da quelli che si possono fare sul personale previsto per l’assistenza degli ospiti.
A detta degli ospiti del centro, gli unici operatori attualmente impiegati sarebbero l’addetta alle pulizie, l’addetto alla manutenzione, due insegnanti di italiano e l’assistente sociale, che però è presente solo di tanto in tanto. Nessuno di questi operatori, compreso il direttore del centro ( ora l’unica persona a cui gli ospiti possano interfacciarsi per richiedere assistenza) parla ne’ le loro lingue, ne’ lingue veicolari.
A quanto pare, fino al mese di giugno,  il centro si avvaleva di diversi operatori e mediatori linguistico – culturali, dei quali, alcuni si sarebbero dimessi perché da mesi non percepivano alcuno stipendio, mentre altri si sarebbero dimessi, dopo essere stati  messi in ferie forzate  nel periodo di Ramadan, durante il quale il direttore ha ritenuto non fosse utile la loro presenza di nessuno (se non dell’attuale equipe di base).
Vien da sé  la totale mancanza di assistenza di ogni tipo: non è mai stata fatta informativa legale, non vi è assistenza psicologica.
Ci sono invece regolari lezioni di italiano, due ore al giorno per quattro giorni a settimana.
Le stanze sono di 2-3-5 posti, ed al momento sono molto calde, ma il direttore del centro non ne ha voluto sapere di comprare dei ventilatori ed alcuni di loro hanno provveduto a dotare le stanze di ventilatori, acquistandoli utilizzando i soldi del pocket money, il quale viene elargito, seppur non puntualmente,  in contanti.
Il servizio di assistenza sanitaria è garantito da un medico generico che si reca presso la struttura ogni lunedì dalle 8.30 alle 9.30, al di fuori di questo momento settimanale, gli ospiti mi dicono che non c’è nessun operatore all’interno nel centro a cui rivolgersi in caso di disturbi fisici e che il centro non dispone di alcun di medicinale generico, né di semplici garze sterili e cerotti. La notte non c’è alcun operatore nel centro e in caso di urgenze sono gli stessi ospiti a chiamare l’ambulanza.
La situazione di questo centro è il fedele ritratto delle prassi diffuse in tutto il sistema di prima accoglienza, il quale, a causa della logica dell’emergenza con cui viene a tutt’oggi affrontata dal Governo, non prevede un sistematico controllo sull’operato dei soggetti a cui viene affidata e lascia, così, ampio margine all’impreparazione e alla speculazione, sempre e comunque a danno di coloro, a cui questo sistema dovrebbe invece garantire tutela. 

Giovanna Vaccaro
Borderline Sicilia Onlus