lunedì 15 febbraio 2016

Pala Nebiolo di Messina: impronte con la forza e bugie ai vulnerabili

A conclusione del seminario "Sicilia crocevia del Mediterraneo tra guerre aperte e frontiere" a cui abbiamo preso parte il 30 gennaio scorso, ci siamo recati con i rappresentanti dell'associazione Migralab di fronte al Palanebiolo, per poter monitorare la situazione attraverso interviste agli ospiti.
Abbiamo da subito incontrato un primo gruppo di migranti, per la maggior parte Somali ed Etiopi, tutti giunti al Palanebiolo da pochi giorni. Non hanno saputo dirci in quale porto della Sicilia fossero arrivati,  ma raccontavano di essere stati trasferiti subito su un pullman e aver raggiunto Messina dopo circa due ore di viaggio.
Presumibilmente fanno parte dei 700 migranti arrivati ad Augusta lo scorso 27 gennaio. Da quello che raccontano, il totale di coloro che sono stati trasferiti qui sarebbe stato di 270, ma molti sono scappati dopo alcuni giorni.
I nostri interlocutori ci informano che all'interno del centro è in corso una protesta dal mattino: tutti si sono rifiutati di mangiare perchè " non si può stare lì, non è una casa, fa troppo freddo”. Questi ragazzi hanno solo gli indumenti che gli vediamo addosso e una coperta. Alle motivazioni generali della protesta aggiungono che sono stati costretti con la forza a rilasciare le impronte digitali e vogliono sapere da noi cosa comporterà perché è stato detto loro che poi sarebbero stati liberi di andare dove volevano in qualsiasi paese d’Europa.
Quando gli spieghiamo come funziona la procedura di richiesta di protezione e i limiti imposti dal Regolamento Dublino alla libertà di circolazione dei richiedenti asilo, rimangono esterrefatti e iniziano a farci numerose domande.
Ci accorgiamo che alcuni di loro sono molto giovani e infatti tre di loro confermano la minore età. Sono somali e hanno tutti 17 anni ma sono stati registrati con una data di nascita sbagliata. Chiediamo se ci sono altri minori oltre a loro all'interno del campo, e la riposta è affermativa: alcuni sarebbero dentro il Palanebiolo, molti altri sono tra i migranti scappati la notte precedente. I tre giovani somali si rifiutano di darci i loro nomi, che chiediamo per poter segnalare la loro presenza e situazione alle organizzazioni che si occupano della tutela dei minori (che evidentemente non hanno fatto alcun sopralluogo di recente). Si dicono stressati e spaventati perchè al loro arrivo sarebbero stati trattati male, durante la fase di soccorso e quella di arrivo al porto. Una volta giunti al Palanebiolo, denunciano di essere stati costretti con la forza a fornire le impronte e di essere stati ingannati rispetto alla possibilità di muoversi in tutta Europa. Spieghiamo loro l'importanza di rendere pubbliche le loro dichiarazioni e ribadiamo l’importanza di poter avere i nomi dei minori per fare le segnalazioni a chi di dovere, ma ci dicono che non possono, hanno paura che noi potremmo essere “alcuni di loro”.
A quel punto, per cercare di vincere la loro comprensibile reticenza, mettiamo per iscritto tutti i nostri dati, tra cui il numero di telefono e i riferimenti del blog di Borderline Sicilia perchè possano eventualmente verificare e capire meglio il motivo della nostra presenza. Li invitiamo a raccontarci tutto nuovamente chiedendo l'autorizzazione a fonoregistrare. Soltanto uno di loro, il più grande, che è evidentemente un punto di riferimento del gruppo, se la sente di parlare.
"Quando siamo arrivati la maggior parte di noi non voleva stare in Italia. La maggior parte di noi voleva viaggiare in altri Paesi dell’Unione Europea. Così , quando siamo arrivati come rifugiati la polizia ci ha forzato a dare le impronte, ci hanno forzato colpendoci con dei manganelli elettronici. Alcune persone colpite non sapevano neanche che cosa volessero che loro facessero. La polizia afferrava le braccia, le mettevano nella macchina e prelevavano le impronte e loro neanche sapevano se darle e no. Dopo questo momento scoprivi di aver dato le impronte.
Da quanto tempo siete qui? Penso 5 giorni
Tutti voi? No, non tutti noi, alcuni sono qui da un mese, altri da 20 giorni
Ricordate il porto dove siete arrivati? No. Ci hanno fotografato vicino al porto e ci hanno dato questo numero. Anche quando stavamo entrando al porto, anche le lì la gente ci ha trattato nei peggiori dei modi.
Prima ci avete detto che vi hanno trattato male anche durante le operazioni di soccorso, cosa hanno fatto? Ci hanno trattato male e alcuni ci hanno anche bastonato
Perché? Non lo sappiamo.
Lo facevano forse per avere il controllo del flusso di persone da trasbordare? La gente voleva cambiare imbarcazione dalla piccola alla grande nave. Sono arrivati ad aiutarci. Quando siamo arrivati alcune persone dentro la barca erano sporchi, malconci, mal vestiti. Quando raggiungevamo la linea della nave colpivano le persone. Sì, ci hanno colpito. Nella nave loro parlavano solo italiano e nessuno di noi parla italiano. Non c’erano traduttori, così loro ci dicevano le cose con i manganelli.
Al momento dell’arrivo al porto avete incontrato rappresentati di organizzazioni che vi hanno dato delle informazioni sul diritto d'asilo? Nessuno ci ha detto niente.”
Chiedo ora ai minori di raccontare nuovamente quello che mi hanno detto in precedenza sulla registrazione della loro data di nascita. Il registratore va, ma è silenzio. Interviene nuovamente lui ,il più grande, a rompere il silenzio. Dice: “Hanno paura”. Perché hanno paura, chiedo? “E’ spaventato di queste persone, di quelle che lavorano in ufficio, della polizia, di quelle che lavorano nel centro. Per questo non possono darti il nome.” I tre ragazzini parlano con lui un attimo e poi lui inizia a tradurre: “Quando siamo arrivati, prima che scendessimo dal pullman alcuni traduttori sono saliti e ci hanno detto: chiunque di voi abbia meno di diciotto anni quando viene a compilare il formulario deve dire di essere maggiorenne - hanno detto- perché forse quelli sotto i diciotto anni forse dovranno ritornare indietro.” I minori si rivolgono nuovamente a lui parlando in somalo, e lui poi ci riporta testuali parole: “dice che gli hanno cambiato la data di nascita”.
Chiediamo allora in che modo hanno cambiato la data di nascita, finalmente è uno dei tre minori a farsi sentire direttamente, anche se a voce molto bassa: “Hanno scritto la maggior parte di noi come diciottenni o diciannovenni. Noi non siamo maggiorenni”.
Ci accorgiamo che molti dei loro sguardi sono ora rivolti verso il cancello, da dove qualcuno ci sta guardando a vista, questo li mette visibilmente in tensione così gli spieghiamo che loro sono liberi di parlare con noi, che non stanno commettendo nessun reato. Qualcuno di loro ci domanda perché non entriamo direttamente nel centro e spieghiamo che non siamo autorizzati a farlo. Ci dice: “Sai perché non ti diamo nessuna informazioni? Perché tutte le persone che abbiamo incontrato ci mentono e nessuno ci dice la verità”.
Chi ti ha detto bugie, chiedo. “Molti, molti, molti: le persone dell’ufficio. Ci hanno detto ‘tu dai le impronte e poi tu sei libero di andare dove vuoi’. Ci hanno detto ‘state qui solo due giorni e poi potete andare dove volete’.” Infine, prima di andare via, il ragazzino vuole chiederci per la terza volta le conseguenze del rilevamento delle impronte ma senza essere registrato. Mi chiede cosa succederebbe se andasse in un altro Paese. Il giovane vuole raggiungere il fratello che si trova in un altro Stato, ma nessuno prima del nostro arrivo gli aveva spiegato la possibilità del ricongiungimento familiare, che sarebbe stato ancora più facile se fosse stato identificato come minorenne, come dichiara di essere.
Chiediamo a quelli che stanno rientrando di chiamare gli altri minori che conoscono nel campo (ne arriverà solo uno con la foto del suo certificato di nascita sul cellulare) e nel frattempo continuiamo la nostra conversazione con altri gruppetti di migranti che, man mano, escono dal centro. Le nazionalità sono le più diverse:l Gambia, Somalia, Etiopia, Mali e Nigeria. Alcuni sono qui anche da un mese e mezzo e quando chiediamo loro come stanno la risposta è sempre che fa freddo, che quando piove entra l’acqua.
Sono  arrivati in periodi diversi. C’è chi è lì da un mese e mezzo. Un ragazzo del gruppo giunto il 15 dicembre mi dice di guardare la giacca che indossa. Gliel’ha data una persona perché l’ha visto camminare in strada un giorno che faceva freddo e lui aveva addosso solo un maglione. Altri, compresi i “nuovi arrivati” ,invece, dicono di aver ricevuto gli indumenti (una tuta, una giacca e un paio di scarpe) ma che fa troppo freddo, soprattutto di notte e questo vestiario non basta per stare nelle tende. Tende che se piove si inzuppano d'acqua mentre intorno c’è fango ovunque e non ci si può muovere da una parte all'altra del campo.
Tra quelli con cui stiamo parlando notiamo un ragazzo particolarmente malandato. E’ gonfio in viso, ha un'espressione dolorante e tiene una mano sulla pancia. Si trova al Palanebiolo da un mese e ha 21 anni. Ha iniziato ad avere problemi in Libia dove ha passato 2 mesi in carcere, a causa delle condizioni igieniche, e forse è gonfio per un’infezione , ma dice che il suo vero problema sono i dolori al ventre che lo affliggono da un mese. Il dottore che lo ha visitato al Palanebiolo gli ha detto che dovrà essere operato, ma non conosce la diagnosi e neanche se e quando sarà operato. Non gli risulta che sia stato fissato un appuntamento per una visita specialistica o un ricovero. E’ presumibile che non ci sia ancora una presa in carico della sua situazione perché si sta attendendo il trasferimento. Ma lui dice di stare troppo male ed accetta l’invito a chiamare un’ambulanza che lo porti in ospedale. Convincere l’operatore del centralino a disporre l'intervento sanitario non 'è stato facile, ma alla fine ci siamo riusciti.
A quel punto, sono in molti a farci presente i loro malesseri e problemi fisici: chi ha mal di pancia, chi soffre di mal di denti, chi mal di testa, chi ha problemi a camminare e chi ha forti dolori alla schiena o alle articolazioni.  Un altro ci dice di non riuscire a muovere bene le gambe da quando è stato picchiato in Libia.  Non ci resta che prendere i nomi per avviare delle segnalazioni.
E’ difficile dover spiegare che purtroppo non possiamo fare niente per loro perché l’ambulanza può intervenire solo in situazioni di emergenza. Consigliamo loro di rivolgersi al medico del centro. Tutti rispondono di esserci già andati ma che è inutile perchè nessuno fa niente per loro, non danno neanche le medicine o, quando le danno, è sempre la stessa per qualsiasi problema.
L'ambulanza in arrivo a sirene spiegate richiama l’attenzione della polizia e di due operatori che escono dal centro mentre il ragazzo sale in ambulanza per la visita pre-ricovero. Chiediamo alla mediatrice come sia possibile che si stia verificando una situazione tanto grave all'interno del centro e chiediamo se siano presenti le organizzazioni umanitarie:  ci riferisce che da un mese e mezzo nessun rappresentante entra nel centro.
Ci raggiunge un agente di polizia che ci chiede i documenti con toni che facciamo presente essere fuori luogo poiché non stiamo commettendo alcun reato. Con loro c’è anche un altro operatore che ci dice che noi non li conosciamo “20 stanno obbligando 200 a fare la protesta rifiutandosi di mangiare. Dovrebbero essere riconoscenti perché gli hanno dato abiti e cibo e per come sono abituati!” Nega che ci sia freddo e quando diciamo che anche noi ne sentiamo molto e non è ancora notte, mi risponde che allora se si ha freddo, si deve restare a casa.
Intanto il medico dell’ambulanza predispone l'accompagnamento in ospedale del ragazzo per un accertamento e la mediatrice va con loro. I poliziotti che hanno già comunicato i nostri dati alla centrale ci raccontano le grandi difficoltà a gestire la situazione e aggiungono che la nostra presenza certo non aiuterà a tenerli calmi. Insinuano anche, e più volte che siamo lì per “aizzare” la protesta. Anche aver chiamato l'ambulanza sembra loro un'esagerazione, ma il fatto che sia stato predisposto il ricovero parla da sé. Sembrano preoccuparsi del fatto che le informazioni che abbiamo dato possano fomentare un'altra protesta. In risposta alle numerose domande che i migranti ci hanno posto, abbiamo spiegato loro la procedura di richiesta d’asilo secondo la legge italiana, dando informazioni che avrebbero dovuto ricevere al loro arrivo in Sicilia.
Quasi a conclusione della nostra visita sono arrivati gli attivisti del circolo Arci di Messina con un avvocato e un medico. Segnaliamo loro i casi dei minori registrati con data diversa incontrati prima, accompagniamo il minore che si era presentato a noi con la foto del certificato di nascita e due casi particolarmente gravi di salute.
Il 4 febbraio 117 migranti sonoarrivati al porto di Messina dove erano presenti i rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni che fanno parte della consulta. Si parla di accoglienza con protocollo consolidato. il loro trattamento dovrebbe dunque essere diverso da quello riservato alle decine di migranti incontrati davanti al pala Nebiolo.
A seguito della nostra visita, abbiamo inoltrato le segnalazioni relative alla presenza di minori e altri soggetti vulnerabili ai referenti per l’immigrazione del Comune e dalle Prefettura, nonché i presunti abusi e violazioni di legge alle organizazioni umanitarie UNHCR, OIM e Save The Children. Ad oggi alcuna autorità ha fornito un riscontro alle nostre segnalazioni, mentre soltanto l’UNHCR ci ha risposto, riferendo di aver visitato nei giorni primi giorni di febbraio la struttura che non ritengono “adeguata alle lunghe permanenze e all'accoglienza di soggetti portatori di bisogni specifici” e di avere segnalato le criticità alle competenti autorità. Inoltre, ci hanno confermato che molti richiedenti asilo hanno riferito difficoltà ad essere ammessi alla procedura, nonché che le attività di informativa e di accesso alla procedura sarebbero state “ritardate” in alcune occasioni alla fase successiva alla pre-identificazione. Ad oggi infine a Borderline Sicilia non risulta che siano stati presi alcuni provvedimenti finalizzati a rimuovere le condizioni di irregolarità e a far cessare gli abusi e le violazioni in atto.

Giovanna Vaccaro
Borederline Sicilia Onlus