venerdì 4 marzo 2016

La finzione della disperazione: “Mamma non preoccuparti, sono vivo e finalmente libero”

Incontro Alfa e Omega (nomi di fantasia) presso la stazione dei pullman di Agrigento, due ragazzoni mal vestiti, con ciabatte e pantaloni molto sporchi, con maglietta e giubbotto logori, con in mano un sacchetto presumibilmente con del cibo all’interno. Attirano subito la mia attenzione e li osservo per un po’. 


Entrambi della stessa nazionalità, passeggiano tra la gente del posto, a prima vista senza un obiettivo preciso. Quando incontrano altri migranti africani si soffermano a parlare con loro un attimo per poi riprendere la passeggiata, fino a quando incontrano un gruppo di 4 migranti ben vestiti, che si tolgono i giubbotti e gli occhiali da sole che indossano per porgerli ad Alfa e Omega. I due si mettono in posa e si fanno scattare delle foto in primo piano, singolarmente, sorridenti ed allegri. Appena finito di fare le foto con il telefonino e riconsegnati i giubbotti e gli occhiali,  Alfa e Omega abbracciano i loro conoscenti e si allontanano. Non posso fare a meno di seguirli incuriosito dalla circostanza. Dopo pochi metri, lontano da occhi indiscreti, Alfa e Omega si siedono sul ciglio del marciapiede ed esplodono in un pianto ininterrotto, si stringono le mani come se volessero consolarsi a vicenda. Questa triste scena mi fa avvicinare ai due ragazzi che, dopo aver rotto l'imbarazzo, mi spiegano di essere stati respinti, che da due giorni vagano tra la stazione dei treni e dei pullman in cerca di aiuto e visto che la mamma di uno dei due pressa per avere sue notizie, hanno dovuto inventarsi una storia alternativa a quella reale, ovvero che la situazione in cui si trovano è buona, che adesso per loro c’è un’altra vita!
Le foto scattate rigorosamente in primo piano con giubbotti nuovi, puliti, gli occhiali da sole e sorriso smagliante nascondono l'atroce verità, di Alfa e Omega, e di tanti altri migranti che non vogliono far sapere alle famiglie che sono degli invisibili anche in Europa, che sono stati rifiutati dall’Italia, che sono figli di un dio minore.
Lascio Alfa e Omega con il cuore in gola, con una grande inquietudine dopo aver dato qualche informazione su dove mangiare e dormire. Li saluto con la speranza che almeno le loro mamme siano felici.

Alfa e Omega sono la rappresentazione dell’invivibile quotidianità che i migranti, che ci ostiniamo a dire che “ospitiamo”, vivono sulla propria pelle. Ragazzi bloccati in un interminabile purgatorio, tra avvocati non attenti e spesso impreparati, operatori palesemente razzisti, funzionari delle questure che adottano prassi amministrative non sempre in linea con le indicazioni del ministero dell'interno, o troppo in linea…
La scorsa settimana ad Agrigento e Trapani abbiamo raccolto la storia di alcuni giovani migranti trasferiti da una struttura ad un'altra, per via della chiusura del centro sprar in cui erano stati collocati. La struttura, chiusa un mese fa, era gestita dalla cooperativa Omnia Accademy ente gestore noto alla cronaca per altre situazioni limite e che alla fine dello scorso anno ha dovuto chiudere i Cas nella provincia agrigentina perché la prefettura del capoluogo ha rescisso la convenzione con la cooperativa recidiva.
Questa volta l’ennesima irregolarità è ben più grave visto che coinvolge una struttura Sprar. Il centro è stato chiuso dal sindaco della sede della struttura, Palma di Montechiaro, per via di scarse condizioni igienico-sanitarie, mancanza di acqua calda, di frigoriferi e addirittura per infiltrazioni di acqua nella struttura.
La domanda che sorge è come abbia fatto la cooperativa a continuare a gestire un progetto Sprar, quando era stata investita da un’indagine giudiziaria per falso e truffa ai danni dello Stato e dunque la prefettura di Agrigento aveva correttamente ritenuto che non fosse in grado di gestire i CAS della provincia. Come mai il Servizio Centrale non è intervenuto tempestivamente nella verifica delle condizioni di attuazione del progetto?  Anche questa volta per chiudere un centro si è atteso l’intervento dell'ASP per rilevare problemi di igiene, mentre l’attenzione sulla qualità  dell’accoglienza, e dunque l’attenzione per i migranti, passa in secondo ordine.
Ancora una volta la mancanza di comunicazione tra istituzioni e le anomalie burocratiche hanno facilitato la prosecuzione dell'accoglienza come business, un cancro sempre più difficile da debellare.
Ma i problemi ad Agrigento arrivano da Lampedusa. Il funzionamento dell'hotspot come fabbrica di invisibili, dove i migranti dopo il loro trasferimento in traghetto a  Porto Empedocle vengono lasciati sul territorio con il decreto di respingimento notificato in tasca. L’ennesima violazione dei diritti viene perpetrata dalla questura di Agrigento che continua ad abbandonare i respinti in zone sempre più lontane dal centro abitato, rendendo il tragitto da compiere per arrivare alla prima stazione "utile" più faticoso e pericoloso. Alcuni migranti incontrati alla stazione agrigentina ci hanno raccontato di essere stati lasciati tra Campofranco e Casteltermini, e cioè a più di 40 km da Agrigento. Migranti che hanno dovuto riprendere un cammino mai interrotto e che sotto le intemperie e la fame sono arrivati ad Agrigento, dopo 3 o addirittura 5 giorni. Qualcuno, come spesso avviene, si è disperso sul territorio volontariamente (attraverso contatti con altri connazionali residenti) oppure involontariamente (adescati da qualche malintenzionato o dal trafficante di turno). Questi fatti, che si ripetono ormai con drammatica regolarità, già di per sé gravissimi, appaiono aberranti di fronte alla circostanza che tra i respinti, di frequente, si rintracciano anche minorenni, registrati con la maggiore età nell’hotspot di Lampedusa, che solo grazie al tempestivo intervento di bravi avvocati riescono a trovare tutela.
E proprio l'hotspot di Lampedusa dovrebbe essere oggetto di un più attento controllo da parte delle istituzioni, perché tra le altre cose attualmente si registra la presenza di persone che stanno lì anche da novembre 2015, un trattenimento a tutti gli effetti in assenza di una base giuridico/legale. Inoltre a seguito degli arrivi della scorsa settimana (ultimo a Lampedusa di 242 persone, provenienti da Gambia, Costa D'avorio, Senegal, Togo, Mali e Guinea) presso il centro di contrada Imbriacola sono presenti 444 persone fra cui 16 donne, 89 minori e ben 9 sudanesi!
I 9 sudanesi che da novembre si trovano a Lampedusa, sono da 4 mesi in detenzione forzata perché si rifiutano di rilasciare le impronte digitali. Ma anche un buon numero di migranti che è stato regolarmente identificato si trova all’interno dell’hotspot da più di un mese illegittimamente, senza una comprensibile motivazione del loro mancato trasferimento in tempi ragionevoli, con buona pace dell'ente gestore, le Misericordie, per il quale più presenze equivalgono a più i soldi. Gli 89 minori, da più di un mese a Lampedusa, non verrebbero trasferiti per la difficoltà di reperire posti in centri dedicati. In provincia di Agrigento insiste il più alto numero di comunità per minori, i cui enti gestori sono in grave difficoltà economica per via del budget sempre più esiguo da parte dei comuni, e molti rischiano la chiusura per mancanza dei rimborsi degli oneri in arretrato di un anno e più.  
Altra preoccupazione riguarda le modalità di ricezione dell’informativa legale. Le decine di migranti intercettati da Borderline Sicilia raccontano di non sapere cosa sia quel foglio (il foglio notizie) che sono costretti a firmare all’interno dell’hotspot di Lampedusa. Le persone sbarcate sull’isola infatti ricevono l'informativa legale da operatori dell’Unhcr e dell’Oim appena arrivati con ancora addosso l’odore del mare e di morte, collettivamente, ma al momento della compilazione del foglio notizie, che deciderà il loro destino, sono soli con i funzionari della questura e di Frontex.
Il risultato è che a Lampedusa, ed in provincia di Agrigento, continuano respingimenti, trattenimenti illegittimi, mancato accesso alla protezione internazionale e abbandono sul territorio. Tutte prassi illegali che creano invisibili, gente che scappa dalla morte e riceve in cambio solo violenza psicologica, indifferenza e rifiuto. Tanti volti tristi, sofferenti che si incrociano per le strade di Agrigento e non solo.
Anche a Trapani si vedono ragazzi per strada che aspettano da tanto tempo un permesso di soggiorno che non arriva, o una convocazione in Commissione territoriale o, ancora, di formalizzare la richiesta di asilo, per cui si aspetta anche 5 mesi. Ritardi burocratici che distruggono la vita delle persone e creano distanze incolmabili tra i migranti e gli operatori dei Cas, intolleranti alle lamentele giornaliere di chi vive in un limbo. Incomprensioni e mancanza di comunicazione che spesso sfocia in proteste, generate soprattutto dall’impreparazione degli operatori, dalla ricerca del profitto da maggior parte degli enti gestori piuttosto che del benessere degli ospiti. Proteste che si ripetono nel centro di alta specializzazione per minori di Alcamo, in via Foscolo. Questa volta, a differenza dell'ultima eclatante protesta, i minori non si sono riversati in strada, ma hanno messo tavoli e sedie sul marciapiede adiacente la struttura. Motivi della protesta i mancati trasferimenti, l’assenza di una programmazione di attività da proporre agli ospiti, l’incapacità di interazione con il territorio: in pratica un posteggio per minori non accompagnati, altro che alta specializzazione!
Anche in altri Cas si avviano proteste perché gli molti operatori (che sconoscono il significato dell’acronimo Cas e, a detta loro, i luoghi di lavoro sono come carceri per migranti) non hanno una preparazione anche minima ma tanti pregiudizi. Il personale non comunicherebbe con gli ospiti perché, a detta loro, puzzano e sono portatori "sani" di malattie! Situazioni paradossali che generano casi limite come reazioni violente da parte di qualche migrante, punito col trasferimento e in alcuni casi con la revoca dell'accoglienza. E sarebbe questa l’ultimo strumento di ricatto utilizzato da alcuni enti gestori per intimare agli ospiti di non protestare o lamentarsi, pena la richiesta di intervento da parte delle forze dell'ordine. La revoca dell’accoglienza prevede un richiamo formale in prima istanza, un richiamo scritto e poi dietro denuncia un provvedimento di revoca. Molti nel trapanese i migranti messi per strada a seguito di questo procedimento, che hanno trovato riparo in una villetta o in un casolare abbandonato, prima di finire in mano ai trafficanti che girano per la Sicilia in cerca di "materiale" da trasportare al nord Italia e oltre.
Nonostante abbiamo riscontrato prassi illegittime in entrambe le province, Agrigento e Trapani, è possibile evidenziare una sostanziale differenza. Nell'hotspot di Milo ad oggi sono stati identificati più di 2000 migranti giunti in Sicilia (Trapani o altri porti come Pozzallo ed Augusta). Il meccanismo funziona abbastanza bene: in massimo 72 ore i migranti vengono ricollocati dopo che a tutti viene data l’effettiva possibilità di richiedere asilo. Tant’è vero che a Trapani dal 28 dicembre 2015 (giorno di riconversione di Milo da Cie in hotspot) sono stati respinti soltanto 4 migranti, i quali si sono rifiutati di richiedere asilo, mentre 79 migranti sono stati trasferiti a Villa Sikania (ad Agrigento), attualmente unico hub in Sicilia, per provvedere al loro ricollocamento in Europa.
La questura di Trapani si conferma quella siciliana con maggiore attenzione al rispetto delle procedure e della legge, in linea con l’ultima circolare ministeriale a firma del prefetto Morcone, che intima a tutte le istituzioni di dare a tutti i migranti la possibilità di accedere alla procedura di richiesta di protezione internazionale.
Non tutti hanno avuto la possibilità di passare da Trapani ed essere considerati potenziali richiedenti asilo. Chi è transitato da altri posti, altri hotspot, come Lampedusa e Pozzallo, ha avuto una sorte diversa: il nulla e un respingimento in mano, come Alfa e Omega che hanno dovuto fingersi felici per dire ai familiari: "Mamma stai tranquilla non piangere, io sto bene, sii felice perché adesso sono un uomo libero grazie a te, un giorno verrò a prenderti e staremo nuovamente insieme". 

Alberto Biondo

Borderline Sicilia Onlus