mercoledì 29 marzo 2017

Migranti, via libera al decreto Minniti-Orlando: ecco tutti i punti critici


Al Senato il governo incassa la fiducia. L’obiettivo per il ministro dell’Interno è snellire le procedure e assicurare regole certe per l’accoglienza. Ma è polemica sulle modalità introdotte: da Sant’Egidio fino all’Arci tutti contestano il decreto. Schiavone (Asgi): “Solo norma manifesto, nessun criterio di necessità e urgenza”.


Con 145 sì, 107 no e un astenuto il Governo ha incassato la fiducia sul contestato decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione. Il provvedimento ora passa all'esame della Camera. L’obiettivo dichiarato dei due ministri è quello di snellire le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, accelerare i rimpatri e assicurare regole certe per l’accoglienza. Ma le nuove norme introdotte si portano dietro un coro di critiche: tutte le organizzazioni umanitarie che si occupano di diritto dell’immigrazione hanno contestato il decreto in queste settimane, parlando di "una mossa elettorale che insegue la destra nella criminalizzazione dell’immigrazione". Ad alzare la voce sono stati tutti i rappresentanti della società civile, da Sant’Egidio fino ad Arci, Antigone, Amnesty International, il Centro Astalli, il Cir e il Cnca. Anche l’associazione nazionale magistrati (Anm) si è detta contraria. Ma quali sono i principali punti critici del decreto?

I giudici specializzati e i dubbi di discriminazione. Per velocizzare il procedimento di riconoscimento del diritto d’asilo, il decreto legge ha pensato di istituire sezioni specializzate (inizialmente 14 ma ora aumentate a 26), dedicate alle richieste d’asilo e ai rimpatri e formate da magistrati dotati di una profonda conoscenza del fenomeno migratorio. Ma è proprio l’istituzione di sezioni dedicate a sollevare i primi dubbi di legittimità perché ritenuta in contrasto con l’articolo 102 della Costituzione secondo cui “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali” ma solo “sezioni specializzate per determinate materie”. Secondo Gianfranco Schiavone, avvocato di Asgi (associazione studi giuridici sull’immigrazione), esperto di diritto dell’immigrazione e presidente dell’Ics di Trieste tutto si basa su un gioco di parole. “La differenza è sottile: non si parla di giudici speciali, vietati espressamente dalla Carta costituzionale, ma di sezioni specializzate – spiega -. Il problema, però, rimane: la specializzazione, infatti, non è riferita all’intera materia, e cioè al diritto dell’immigrazione nel suo complesso, ma ai rifugiati, cioè solo alla protezione internazionale. Questo rischia di confermare l’idea di un giudice speciale solo per i richiedenti asilo e potrebbe configurare un possibile conflitto di legittimità, e la norma potrebbe essere considerata discriminatoria”. Secondo Schiavone, inoltre, pensare a istituti come questi non risolve neanche il problema dei tempi: “anziché snellire le procedure questo potrebbe rendere più lungo il contenzioso”. “Le sezioni specializzate non servono, anzi la competenza su questa materia dovrebbe essere diffusa e attribuita al tribunale del luogo dove il richiedente ha suo domicilio, perché secondo noi bisogna avvicinare anche fisicamente la giurisdizione al richiedente – aggiunge -. Siamo di fronte a uno scenario in cui il numero dei rifugiati sarà sempre maggiore nel nostro paese, quindi è abbastanza irragionevole pensare che proprio momento si vada a limitare il numero dei giudici che si occupano di questa materia. Come se fosse un fenomeno di nicchia e non una materia che investirà il nostro ordinamento in maniera sempre più ampia”. L'emendamento unico su cui il Governo ha posto la fiducia supera invece un'altra criticità: quello dell'udienza, che nella prima stesura era stata sostituita dalla videoregistrazione. Nel nuovo testo viene introdotto un emendamento che dispone l'ascolto diretto del richiedente nel caso in cui la videoregistrazione non sia disponibile; "l'interessato ne abbia fatto richiesta nel ricorso introduttivo" e il giudice lo ritenga essenziale o se "l'impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado".

L’appello negato. Ma il punto più critico del decreto Minniti - Orlando rimane l’eliminazione dell’appello, e cioè di uno dei tre gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento anche per controversie civili minime. In caso il richiedente asilo voglia fare ricorso contro il provvedimento rilasciato dalle commissioni territoriali potrà, dunque, solo ricorrere in Cassazione. “E’ stato fatto osservare da molti, e con ottimi argomenti, che il doppio grado di giudizio non ha un’esplicita copertura costituzionale – spiega ancora Schiavone- ma per capire se è una misura è legittima ed equa, dobbiamo vedere come s i inserisce nel complesso dell’ordinamento. E nessuno può obiettare che si tratterà dell’unico caso in tutto l’ordinamento italiano nel quale, in materia di diritti della persona non abbiamo un doppio grado di giudizio. Insomma quello che viene previsto  anche per situazioni di controversie civili minime, come per esempio se rubo una merendina al supermercato, non ci sarà più nel caso si debba stabilire se una persona è esposta nel suo paese a trattamenti inumani e degradanti. C’è da chiedersi se l’esistenza della sezione specializzata in sé possa assorbire la funzione di doppio grado giudizio – aggiunge -  nutro forti perplessità che questo accada, ma anche sul fatto che possa esserci una fattispecie così disomogenea rispetto al resto dell’ordinamento. Anche perché i diritti da tutelare sono quelli fondamentali della persona: come il diritto alla vita, alla salute, all’asilo. Tutti diritti costituzionalmente garantiti”. Così formulata dunque la norma “rischia di essere iniqua e ingiusta”. “Non escludiamo che si possa sollevare il dubbio di legittimità, perché non rispetta criteri di ragionevolezza, equità e non discriminazione”. Per Schiavone questo punto andrebbe ripensato quanto prima: “non solo alla Camera, ma anche in quella che sarebbe stata la sede opportuna, e che non riusciamo a capire perché non sia stata perseguita – afferma – entro settembre il governo deve emanare un decreto integrativo e correttivo al decreto 142 sull’asilo. In questa occasione avrebbe potuto introdurre modifiche su questi aspetti ma anche su altri nodi critici, come la riforma delle commissioni territoriali. Invece si è pensato a un decreto immigrazione che per noi non ha nessun criterio di necessità e urgenza, ci sembra più una norma manifesto, a fini elettorali”.

Nuovi Cie: cambiano i nomi ma non le regole. Col decreto vengono istituiti i Cpr (centri di permanenza per il rimpatrio) centri più piccoli rispetto ai Cie e diffusi sui territori, che dovrebbero rendere più veloci il rimpatrio di chi non ha diritto alla protezione internazionale. “I presupposti normativi per finire o non finire in un Cie non sono mutati, cambia solo il nome: per la quarta volta questi centri vengono rinominati ma senza modificare gli aspetti rilevanti – conclude Schiavone – bisognava andare a ragionare sui presupposti che determinano i provvedimenti di allontanamento o di trattenimento, cioè andare a disciplinare che fossero limitati ai casi socialmente pericolosi, alle situazioni in cui si ritiene che si debba intervenire con misure di questo tipo. Non è stato fatto: si parla di centri di dimensioni più piccole, ma questo a livello normativo è poco rilevante”.

L’accusa delle ong: “Una risposta sbagliata, il fine è solo elettorale”. In queste settimane il decreto è stato criticato da molte delle organizzazioni umanitarie che si occupano di immigrazione e diritti umani. La scorsa settimana alcune delle associazioni più importanti si sono riunite in un’assemblea pubblica all’Università La Sapienza di Roma. Per Paolo Morozzo Della Rocca della Comunità di Sant’Egidio il decreto Orlando -Minniti “costituisce la risposta sbagliata a una serie di problemi veri” che il governo non sta affrontando, come l’inclusione dei richiedenti asilo e le vie legali di accesso al nostro paese. Per Filippo Miraglia dell’Arci “il testo è irricevibile” ed ha lo scopo puramente elettorale di “rincorrere le destre sui temi securitari”. Un’opinione condivisa da diversi altri rappresentanti della società civile, come Patrizio Gonnella di Antigone e Cild, e Chiara Peri del Centro Astalli. “Non accetteremo questa negazione dei diritti – ha aggiunto don Armando Zappolini, presidente del Cnca – Siamo pronti anche a disobbedire”.

Eleonora Camilli