martedì 16 giugno 2015

Perdete le speranze o voi che entrate

Forse per essere meno ipocriti dovremmo tradurre questa frase  in varie lingue e dialetti africani e consegnarla ai migranti che arrivano (quelli morti nel deserto o in mare hanno vissuto sulla propria pelle il significato delle parole scritte nella porta dell’inferno dantesco), per far capire bene quello che dovranno subire una volta arrivati nelle coste italiane ed europee.
Coste che sono sempre più militarizzate, con muri che continuano ad alzarsi e filo spinato che continua a tagliare le mani di chi non si vuole arrendere a perdere la speranza. Ma la speranza muore giorno per giorno e migliaia di persone si abbandonano nel silenzio a diventare  fantasmi in terra straniera. Un desiderio di libertà che si trasforma in un’altra prigionia, perché il sistema accoglienza mira ad ingrassare gli europei avidi di denaro e a non pensare alle donne, uomini e bambini che gridano aiuto.
Siamo sordi e il sistema di protezione non lascia speranza.
Per restare alla nostra Italia, il sistema di protezione fa acqua da tutte le parti e se a questo aggiungiamo la situazione attuale europea (frontiere chiuse e Schengen che si è fatto benedire), per i migranti diventa sempre più probabile la morte o in mare o nelle nostre strade, come avvenuto pochi giorni fa nelle contrade di Marsala, dove due migranti sono stati investiti e lasciati sulla strada. Ma visto che loro erano figli di un dio minore, nessuna protesta o indignazione, nessuna caccia all’uomo nero o al rom.
Purtroppo episodi come quello di Marsala si ripetono costantemente con i migranti sempre più isolati e invisibili che lasciano le speranze dentro la propria anima, incapaci di reagire a tutti i soprusi e lo sfruttamento che subiscono.
In questi giorni abbiamo assistito agli sbarchi di Palermo e Trapani dove le strutture hanno retto momentaneamente i numeri e il peso degli arrivi grazie all’aiuto di numerosi volontari al porto. 




A Palermo la macchina dell’accoglienza ha distribuito i migranti nelle strutture emergenziali messe a disposizione dalla Caritas,  che fondamentalmente non sono servite, visto che i migranti hanno lasciato immediatamente i CAS per rimettersi in cammino verso la propria meta. Numerosissime le famiglie siriane.
Nel trapanese  è stato definitivamente chiuso il famoso CARA di Salinagrande che ha visto passare migliaia e migliaia di migranti, luogo simbolo del sistema di accoglienza italiano che ha fermato il cammino  di tantissimi richiedenti asilo dentro le mura di un non luogo lontano da tutto e da tutti, per lunghissimi anni. 


La prefettura ha vinto la battaglia dopo 6 mesi di proroghe, e ha convinto il ministero a chiudere il CARA e ad aprire però nuovi centri, molti dei quali  a Marsala che ormai la fa da padrona nel panorama trapanese, o a riaprire vecchi CAS che in qualche modo avevano avuto problemi di gestione, come quello di Poggioreale.
Il dieci giugno invece siamo stati ad Agrigento per verificare la possibilità di monitorare alcune strutture visto che dopo tanto tempo siamo stati finalmente autorizzati. Durante l’attesa per ricevere il via libera definitivo dalla prefettura, abbiamo notato più di una dozzina di ragazzi africani di fronte all’ingresso dell’edificio. Parlando con alcuni di loro nonché con la mediatrice che li accompagnava, abbiamo scoperto che sono ospiti presso la struttura Next Project di Aragona e che si erano recati ad Agrigento per protestare in maniera pacifica. L’oggetto del loro scontento e della loro frustrazione era la mancanza di una data per l’audizione presso la  commissione territoriale. Come abbiamo potuto ascoltare, tutti e 18 i ragazzi (provenienti prevalentemente da Senegal, Nigeria e Ghana) sono arrivati a Lampedusa nel marzo 2014 e poi sono stati trasferiti ad Aragona. Da allora, aspettano la convocazione della commissione, che  non è ancora arrivata, trovandosi così in una situazione di stallo ed incertezza perenne. Sono state anche lamentate tensioni all’interno della struttura dovute alla mancanza di documenti: gli ospiti si sentono incompresi ed impotenti e scaricano la loro frustrazione addosso agli operatori;  frustrazione anche dovuta, come ci raccontano all’unisono i ragazzi, al cibo scarso e di pessima qualità e all’irregolare distribuzione del pocket money.
Il gruppo, attraverso un suo rappresentante ed un responsabile del centro, alla fine è stato ascoltato da un funzionario della prefettura  che ha preso impegni ben precisi riguardo la data dell’audizione, garantendo di fargliela avere entro luglio o agosto.  Tutto questo significa che l’istituzione della nuova commissione territoriale di Agrigento, come previsto, ha rallentato di molto i tempi, raggiungendo anche i due anni prima che i richiedenti asilo vengano ascoltati o abbiano un documento in mano. Quest’ultimo alla fine resterà soltanto un’altra grossa illusione, visto che nella maggior parte dei CAS siciliani e non solo (anche negli SPRAR ormai), non si fa niente per favorire processi di INTERAZIONE  ma si contiene soltanto la rabbia e la frustrazione creando invisibili disperati che come capitato a Modica,  arrivano a tentare il suicidio.
Ll’11 giugno abbiamo visitato il Pozzo di Giacobbe. Il piccolo centro situato fuori ad Aragona è operativo dall’inizio del 2013 e ospita attualmente 17 uomini (tra cui un dublinato) provenienti da Bangladesh, Pakistan, Nigeria, Gambia, Senegal, Ghana, Mali ed Eritrea. Il centro è in ottime condizioni, pulito, abbastanza spazioso. Il piccolo numero di utenti facilita il rapporto umano e di reciproco rispetto tra ospiti e operatori,  in particolare con l’assistente sociale che è stata presente durante la nostra visita. La convenzione stipulata tra prefettura e CAS viene rispettata in tutti i suoi punti. Anche qui, come riscontrato il giorno precedente con i ragazzi di Next Project, c’è una grande frustrazione da parte degli ospiti per non avere ancora una data di audizione. Un ragazzo pakistano, ha sollevato in maniera importante questo problema e le conseguenti ripercussioni psicologiche (insonnia, irrequietezza, ansia) che sfociano in frustrazione legata anche al senso di impotenza per non essere in grado di aiutare le proprie famiglie rimaste nel paese di origine e che dipendono in gran parte dalle rimesse di coloro che sono in Europa. Le lunghe attese, la sensazione di stallo e di impotenza e le frustrazioni che ne derivano, portano spesso, come più volte appurato durante la nostra attività di monitoraggio, a conflitti con gli operatori dei centri, vale a dire con le persone che sono a più stretto e diretto contatto con i migranti. Una situazione spesso paradossale, in quanto lo svolgimento delle loro pratiche non dipende in alcuna misura dagli operatori, che si trovano dunque a dover mediare tra ospiti ed istituzioni e a filtrare, per quanto possibile, la disperazione dei primi e l’inefficienza dei secondi. Permangono alcune criticità riscontrate anche in altri centri presenti sul territorio, vale a dire la decentralizzazione del CAS ed il derivante isolamento dai centri abitati e dai servizi, rendendo così difficile l’inte(g)razione tra migranti e autoctoni.
L’unica interazione è a favore degli italiani, che come capita spesso, usano la manodopera disperata di migranti per avere a poco prezzo un risultato immediato e sicuro. Pochi euro al giorno per 12 ore così a Marsala come ad Aragona e in tutta la Sicilia. Spesso purtroppo il limite di non avere un documento fa sì che il migrante venga tenuto sotto scacco e ricattato da gente senza nessuna umanità e pronta a tutto per avere un ricavo maggiore. E questo sistema di accoglienza italiano permette a gente spietata di fare questo e ben altro, un sistema che favorisce proprio i più spietati!
Ad Agrigento nella giornata del 10 giugno sono arrivati 384 migranti e dopo essere passati dal triage sanitario effettuato nella famosa tensostruttura di Porto Empedocle, i migranti sono stati trasferiti presso Villa Sikania. Anche qui molti, dopo essersi rinfrescati e rifocillati dopo il lungo viaggio in mare, sono ripartiti per raggiungere altre mete, probabilmente, nel Nord Europa, mentre un numero sostanzioso è ancora lì. Villa Sikania è il centro di smistamento della prefettura di Agrigento e tutti passano da questa struttura gestita dall’associazione Cometa legata ad Acuarinto, che ha ricevuto nel periodo luglio- dicembre 2014 ben 2 milioni di euro.


Numerose le presenze di siriani, anche con bambini piccoli, e giovani ragazzi da Senegal, Nigeria, Bangladesh, Gambia, Mali. La partenza di alcuni viene però subito colmata dall’arrivo di gruppi costituiti ognuno da un centinaio di persone sbarcate recentemente a Lampedusa. L’operazione di svuotamento dell’isola, provvederà a mantenere attivo il ricambio di migranti con alti  numeri di ospiti a Villa Sikania. Mentre prima ad Agrigento e provincia non venivano effettuate le operazioni di identificazione, adesso  queste avvengono nel parcheggio di Villa Sikania. Coloro che si fanno prendere le impronte senza protestare sono la maggior parte, mentre i siriani tendono a rifiutarsi e ad essere i primi a continuare il viaggio verso il nord.
Molti hanno perso la speranza, ma per fortuna ancora qualcuno ha voglia di piangere e continuare a sognare nonostante la lentezza che uccide.

Caterina Bottinelli – Alberto Biondo
Borderline Sicilia