sabato 9 aprile 2016

Cas di Gela: l'isolamento degli ospiti di "Villa Daniela"

A partire dallo scorso dicembre a Gela è attivo un CAS gestito dalla Cooperativa "Progetto Vita", la stessa del l'accoglienza per minori in questa località e in altri due Cas di Caltanissetta, per un totale di circa 250 ospiti nella provincia nissena.
L'apertura di questo centro presso la struttura “villa Daniela”, un ex albergo sito nella zona
Foto di Clement Delamotte
balneare di Gela, è stata accompagnata da alcune tensioni dovute alla preoccupazione destate nei residenti dal collocamento di 150 migranti in una medesima struttura. I cittadini si sono riuniti in un comitato spontaneo e hanno stilato anche un documento in cui  tra l’altro si richiedeva un presidio permanente da parte delle forze dell’ordine fuori dal centro di accoglienza. 

Diversi sono gli articoli della stampa locale che puntualmente riprendono, a tutt’oggi, i comunicato dei soliti noti, come Forza Nuova e del comitato “Noi con Salvini”, che non perdono occasione di  alimentare i sentimenti di diffidenza della popolazione, sia attraverso comunicati stampa che iniziative come le “passeggiate per la sicurezza”, traducibili con il termine “ronde”. 
Ecco un altro caso in cui una gestione dell’accoglienza irresponsabile che sacrifica il modello “diffuso” in favore della concentrazione di un grande numero di migranti in un’unica struttura, alimenta il conflitto sociale e diviene facile argomentazione per le strumentalizzazioni populiste e xenofobe.

In questo contesto poco favorevole dal punto di vista socio-politico, a gravare ulteriormente sulla vita dei 150 richiedenti asilo che vivono nell’ex albergo “Villa Daniela” è l’isolamento dal centro urbano, poiché la struttura di accoglienza dista ben 15 kilometri dal centro di Gela.

Foto di Clement Delamotte
Il 31 marzo ci siamo recati davanti l’ingresso per effettuare il nostro monitoraggio ( limitandolo all’esterno, come facciamo da ormai un anno a questa parte nella provincia di Caltanissetta, a seguito alle condizioni imposte dallaPrefettura alle nostre richieste di autorizzazione di visita dei centri) e ci è bastato osservare dall’esterno la struttura ricettiva per capire da noi stessi che la prima e grande criticità di questo progetto di accoglienza è proprio il confinamento spaziale in cui vivono i suoi ospiti.

Foto di Clement Delamotte
Parlando con alcuni di loro, abbiamo appreso che l’ente gestore ha predisposto un servizio navetta organizzato su 3 corse pomeridiane di andata (alle 15, 00, alle 16. 00, alle 17) e tre corse di ritorno (alle 17, alle 18,00, alle 19,00). Il pulmino messo a disposizione conta solo 17 posti, così, per potersi aggiudicare un passaggio,  bisogna  prenotarsi la mattina, segnando il proprio nome sulla lista, il prima possibile. Tra i cinquanta che riescono a prenotarsi un passaggio, i più svantaggiati sono quelli che si aggiudicano un posto nella corsa delle 15:00 perchè, dovendo fare ritorno alle 17, hanno a disposizione soltanto un’ora e mezza, e nessuna possibilità di entrare in un negozio del centro, in quanto l’apertura pomeridiana è a partire dalle 16.30. Agli altri cento ospiti che rimangono a Manfria, non resta che passare il pomeriggio dormendo, oppure, giocando a cricket in un campo di fronte all’albergo. I più socievoli tentano di scambiare qualche parola con qualcuno nell’unico bar che c’è nella zona.

In realtà, Manfria è collegata alla città da un servizio di trasporto effettuato da una compagnia
Foto di Clement Delamotte
privata che effettua delle corse orarie, dalla mattina alla sera. Stranamente, però, nessuno degli ospiti di questo centro ne è al corrente. Non ci è chiaro se l'omissione di tale informazione da parte dei responsabili del centro sia volontaria (per ovviare ad eventuali lamentele da parte della popolazione residente) oppure casuale, perché neanche loro ne sono a conoscenza. Ad ogni modo, riteniamo che non offrire ai migranti un’adeguata informazione sui servizi attivi sul territorio rappresenti una grave mancanza al sostegno della loro autonomia, soprattutto in una situazione di isolamento che si fa ancora più insostenibile in assenza di attività lavorative e ricreative all’interno del centro.

Molti ospiti hanno acconsentito di parlare con noi solo al momento in cui ci siamo spostati di poche centinaia di metri dal cancello di ingresso del centro. Ci hanno riferito di non sentirsi liberi di parlare, per paura di subire ripercussioni o di essere cacciati dalla struttura, come sarebbe successo ad alcuni di loro che si sono visti mettere alla porta, grazie all’intervento delle forze dell’ordine, dopo aver tentato di fare ascoltare le loro lamentele. In particolare, uno di questi, sarebbe stato cacciato a tarda sera e a nulla sarebbero servite la sua preghiere di poter rimanere almeno per la notte.

La revoca dell'accoglienza dovrebbe essere predisposta dalla Prefettura competente su richiesta motivata del gestore ed è escluso che possa avvenire con intervento diretto delle forze dell’ordine, su richiesta dei responsabili del centro di accoglienza.  Una prassi di questo genere sarebbe illegittima, utilizzata impropriamente come strumento di intimidazione nei confronti degli ospiti.

Non è poi la prima volta che da parte di ospiti che vivono in centri gestiti da “Progetto Vita” sentiamo raccontare che la risposta alle loro proteste è, nei migliore dei casi, che “la porta è aperta”, mentre nei peggiori che “chi crea problemi, dovrà aspettare più tempo l’audizione in Commissione”, oppure “ne pagherà le conseguenze al momento della decisione della Commissione”.  

Cerchiamo di capire la qualità di questo progetto dal punto di vista strutturale e dei servizi, a

partire dal cibo fornito: la colazione viene servita dalle 8 alle 8,30, consta di un bicchiere di latte e due/tre fette biscottate. Il latte sarebbe annacquato (come ci era stato raccontato anchedegli ospiti dell’altro centro gestito dalla stessa  cooperativa)  e se si arriva tardi non si troverebbe più niente da mangiare. La cena, anch'essa piuttosto scarsa a detta degli ospiti, viene servita alle 19.00.

Il pasto più sostanzioso sarebbe il pranzo, sempre completo di primo, secondo  e contorno. Purtroppo il pane che viene servito sarebbe spesso vecchio di diversi giorni e quindi immangiabile e, a dispetto del fatto che il 98%  degli ospiti è di religione musulmana, non verrebe servita carne Hallal. Così, quando il secondo piatto è a base di carne, ai più osservanti, non resta che lasciarla nel piatto o limitarsi a mangiare il condimento.

Non verrebbe invece distribuita acqua in bottiglia anche se quella corrente non è considerata potabile, per cui , gli ospiti sono obbligati ad acquistarla con i soldi del pocket money (di 2,50 euro giornalieri). L’erogazione dei pocket money è invece puntuale e vengono erogati 25 euro ogni 10 giorni , in contanti. Molti di loro utilizzano questi soldi per acquistare alimenti ed integrare o sostituire i pasti forniti dalla mensa del centro. Dopo numerose richieste degli ospiti di poter avere la possibilità di preparare da loro i pasti, in questi giorni è in allestimento una cucina con due piani cottura che sarà a loro disposizione, ma è proprio uno di loro a dirci che l’utilizzo delle cucine rischia di diventare il “pomo della discordia” tra le 150 persone che vogliono cucinarsi.

Non è infatti facile la convivenza quando il numero di “coinquilini” è così elevato, a maggior ragione che non si può mai avere uno spazio di intimità, poiché le camere sono da 5 posti, dotate di un solo bagno. Non ci sarebbe la televisione, non uno spazio comune e neanche la wifi.

Il corso di italiano viene garantito 4 giorni a settimana: due corsi la mattina e uno il pomeriggio, suddivisi per i diversi livelli. Non sarebbe previsto il servizio di assistenza legale (nessuno di loro avrebbe ricevuto l’informativa, neppure al momento dell’arrivo nel centro) e non ci sarebbe una psicologa che collabora con il centro. Da quanto riferitoci  dagli ospiti, l'equipe sarebbe formata, oltre che da due insegnanti di italiano, solo da 4 operatori che sono anche i mediatori culturali, e uno che parla solo inglese e si occupa del disbrigo pratiche.

L’assistenza sanitaria infine è garantita da un medico che si recherebbe due volte a settimana per un'ora al centro, ma anche questo servizio non viene giudicato adeguato alla condizione di affollamento della struttura. Infine c’è chi si lamenta di non avere avuto per mesi la possibilità di sottoporsi a visite specialistiche necessarie e urgenti.

Giovanna Vaccaro
Borderline Sicilia Onlus